La nostra dieta, l’ambiente che ci circonda e le nostre risposte e interazioni a ciascuno di questi fattori possono alterare l’espressione dei nostri geni. L’influenza epigenetica materna nei confronti del feto avviene principalmente tramite l’espressione dei geni stessi, e questo può riguardare anche le generazioni future. Il rischio per il feto di sviluppare una malattia da adulto è in parte determinato dallo stato nutrizionale materno e paterno al momento del concepimento, dallo stato nutrizionale della gestante durante la gravidanza e dall’alimentazione del bambino nei primi anni di vita.

In questo articolo ci concentreremo in maniera particolare sull’influenza dell’alimentazione materna sulla salute del feto e della madre stessa.

ALIMENTAZIONE PRIMA DELLA GRAVIDANZA

Si presta molta importanza all’alimentazione durante la gravidanza, ma non tutti sanno che in assenza di un’adeguata alimentazione già al momento del concepimento, ossia se una donna si trova in uno stato di malnutrizione e/o segue una dieta energeticamente restrittiva, il feto risponderà con una maggiore risposta insulinica al cibo e una minore crescita muscolare, compreso il cuore, e altri organi come reni e ossa.

Se la dieta migliora durante l’infanzia, il bambino nato malnutrito aumenterà di peso ad una velocità maggiore rispetto al normale, e si ritroverà ad avere un rischio maggiore di incorrere in patologie metaboliche come il diabete di tipo 2.

E’ importante tenere presente che il numero ridotto di cellule cardiache e di nefroni, dovuto alla malnutrizione materna durante lo sviluppo del feto nelle prime settimane, non si corregge mai del tutto, per cui il bambino sarà maggiormente predisposto da adulto a soffrire di ipertensione e insufficienza cardiaca.

Dopo la fecondazione, l’ovulo fecondato è sottoposto all’ambiente nutrizionale a livello delle tube di Falloppio; durante le prime 10 settimane di gestazione, il nutrimento del feto in via di sviluppo è fornito esclusivamente dal fluido prodotto dalle ghiandole dell’endometrio. Studi su topo hanno dimostrato che non vi è alcun afflusso di sangue materno per l’embrione fino a circa 10 settimane di gestazione, e il liquido trovato nelle tube di Falloppio corrisponde a quello delle ghiandole endometriali.

Se ciò vi sembra un aspetto di poco conto, forse non siete a conoscenza del fatto che tutta la differenziazione degli organi avviene entro le 11 settimane di gestazione.

Questo significa che la nutrizione materna dovrebbe essere ottimizzata già prima del concepimento, in modo da rendere l’ambiente destinato all’impianto pronto a supportare lo sviluppo precoce della placenta e del feto una volta avvenuta la fecondazione.

Detto ciò, l’eventuale malnutrizione per eccesso dovuta al consumo di cibi ad alto contenuto calorico, abitudini alimentari malsane e ad un ridotto introito di frutta e verdura, non crea di certo minori danni per il feto.

Il feto in via di sviluppo è infatti altamente responsivo all’ambiente in cui si trova e valuta la disponibilità di nutrimento in modo da adeguare il suo tasso di crescita.

Un ambiente intrauterino iperinsulinico, dovuto ad obesità, diabete gestazionale e/o a sindrome metabolica materna, induce il bambino a programmare un tasso di crescita superiore alla media, causando una serie di adattamenti sia a livello del tessuto adiposo che a livello dell’ipotalamo, predisponendolo all’obesità e a malattie metaboliche nell’età adulta.

GUADAGNO DI PESO IN GRAVIDANZA

Nella tabella, possiamo osservare le raccomandazioni generali per quanto riguarda i guadagni di peso durante la gravidanza.

Per le donne diabetiche, è preferibile che l’aumento di peso rispetti o sia addirittura al d sotto del limite inferiore dell’intervallo raccomandato.

In genere, l’incremento di energia aggiuntivo necessario per sostenere un aumento ponderale appropriato è compreso tra 90 e 125 Kcal/die nel primo trimestre, tra 286 e 350 Kcal/die nel secondo e tra 466 e 500 Kcal/die nel terzo.

Pertanto, il famoso “sono incinta e devo mangiare per due” è assolutamente scorretto e in alcuni casi anche pericoloso. Piuttosto, l’aumento dell’apporto calorico sembrerebbe rientrare in un intervallo che va dal 10 al 25 % in più di quello abituale.

Dell’aumento di peso che la donna riscontra in gravidanza, circa il 40% è associato al feto e alla placenta, mentre il restante 60% è associato ai cambiamenti della madre. Statisticamente, le donne obese e/o in sovrappeso mettono alla luce neonati con un peso alla nascita più alto della media, e i bambini più pesanti tendono ad avere una massa grassa più elevata.

APPORTO PROTEICO

Una dieta povera di proteine durante la gestazione diminuisce la secrezione di insulina nei ratti, mentre una dieta iperproteica induce cambiamenti nei geni associati al metabolismo energetico nel fegato in studi su animali.

L’assunzione raccomandata di proteine durante la gravidanza è di 1.1 g/Kg di peso corporeo al giorno, quindi leggermente maggiore di quella delle donne non in gravidanza.

CARBOIDRATI E INDICE GLICEMICO

L’indice glicemico (IG) è stato proposto quasi 40 anni fa come parametro utile per classificare la capacità potenziale di alimenti contenenti carboidrati di aumentare la glicemia. Al di là dei numerosi limiti che tale parametro ha nel valutare la qualità di un alimento o la capacità di questo nel creare problematiche metaboliche, è importante chiarire che l’eventuale applicazione dell’IG alla dieta durante la gravidanza è molto più recente.

In effetti, almeno in teoria, la gravidanza è una condizione in cui l’IG può essere di particolare rilevanza poichè il glucosio materno è il principale substrato energetico per la crescita fetale e livelli elevati di glicemia nella madre sono ben noti per contribuire all’eccessiva crescita fetale.

Studi più recenti hanno però concluso che non vi sono prove sufficienti per raccomandare una dieta a basso IG durante una gravidanza normale.

Tuttavia, in caso di gravidanza complicata da diabete gestazionale, una dieta a basso IG potrebbe avere effettivamente dei benefici. Pare infatti che una dieta a basso IG in donne affette da diabete gestazionale possa dimezzare il bisogno di utilizzare l’insulina per ripristinare la fisiologia del metabolismo glucidico, non compromettendo in alcun modo la salute del feto.

In un altro studio, è stato però valutato come in donne con diabete gestazionale, una dieta a basso indice glicemico ed una tradizionale ricca in fibre abbiano prodotto esiti simili: ciò suggerisce che non è strettamente necessario seguire una dieta a basso IG, ma basta consumare alimenti più ricchi di carboidrati complessi e fibre.

Pertanto, allo stato attuale, in assenza di ulteriori studi, non sembrerebbe necessario sostituire alle tradizionali prescrizioni dietetiche una dieta a basso indice glicemico, nemmeno in presenza di Diabete Gestazionale.

LIPIDI IN GRAVIDANZA

Anche se non esistono raccomandazioni specifiche riguardanti l’apporto lipidico in gravidanza, è ragionevole che le gestanti seguano le linee guida generali che suggeriscono di mantenere l’assunzione totale di grassi tra il 25 e il 35% delle calorie totali.

Le diete ad elevato contenuto lipidico in gravidanza hanno dimostrato di aumentare la resistenza insulinica; un’elevata assunzione di grassi saturi è invece associata allo sviluppo di disturbi del metabolismo glucidico in gravidanza e ad un aumentato rischio di diabete gestazionale.

Non possiamo però risolvere la questione semplicemente limitando il contenuto totale di grassi, poichè questi hanno innanzitutto un ruolo essenziale nella determinazione dell’appetibilità della dieta, e poi essi sono necessari, oltre che per numerosi funzioni ormonali, anche per l’assorbimento delle vitamine liposolubile, il cui fabbisogno in gravidanza è aumentato.

FERRO

Le riserve materne di ferro al momento del concepimento sono un forte predittore dello stato di ferro materno e del rischio di carenza di questo e anemia in gravidanza. Ci sono alcuni dati che dimostrano che nelle popolazione con un’elevata prevalenza di anemia, vi è un aumento del peso alla nascita dei bambini che seguono la supplementazione di ferro.

Non c’è dubbio che le riserve di ferro siano importanti,, soprattutto per la salute materna più che per il feto: non vi sono prove solide di una riduzione di crescita fetale per carenza di ferro, ma l’emorragia in presenza di anemia è la causa di almeno il 20% delle morti materne in tutto il mondo.

Qualsiasi donna con carenza di ferro pre-esistente o con un rischio aumentato di sanguinamento grave a causa di particolari disturbi della coagulazione o di gravidanze a rischio, dovrebbe ovviamente ricorrere all’integrazione dello stesso.

ACIDO FOLICO

L’acido folico è un donatore di metili necessari per la sintesi di DNA e per la differenziazione cellulare,ed è tra i composti più studiati in ricerca scientifica sull’epigenetica e la nutrigenomica.

Per quanto riguarda le sue funzioni in gravidanza, esso è necessario per lo sviluppo del tubo neurale del feto, che si verifica entro il primo mese dopo il concepimento. Se il tubo neurale non si chiude completamente, un’apertura all’estremità inferiore del rachide provoca quella che è conosciuta come spina bifida.

Le linee guida consigliano alle donne in età potenziale per una gravidanza l’integrazione di 0.4 mg di acido folico al giorno, oltre la dieta, a causa della minore biodisponibilità negli alimenti.

Durante la gravidanza il fabbisogno aumenta fino a raggiungere i 0.6 mg/die e 0.5 mg/die durante l’allattamento.

IODIO

I fabbisogni di iodio durante la gravidanza sono aumentati a causa di un incremento del 50% della produzione di ormoni tiroidei materni. L’ormone stimolante la tiroide fetale non viene sintetizzato prima della fine del terzo trimestre, periodo in cui la tiroide fetale è in grado di utilizzare lo iodio per sintetizzare la iodotironina.

L’ormone tiroideo risulta indispensabile per un corretto sviluppo del feto e del bambino durante i primi anni di vita, sopratutto per le funzioni cognitive: lo scarso sviluppo neuronale del feto, dovuto a carenza di iodio durante la vita fetale, è infatti la principale causa di ritardo mentale prevenibile in tutto il mondo.

Molte donne sono confuse riguardo al ruolo della soia sulla funzionalità tiroidea, e non sanno se il consumo di soia durante la gravidanza possa creare problemi all’attività tiroidea ed essere di conseguenza dannoso per il feto. Effettivamente, l’assunzione di elevate quantità di soia può interferire, anche se solo in minima parte, con la produzione degli ormoni tiroidei, ma tale evenienza può essere risolta semplicemente con un’adeguata assunzione di iodio.

CALCIO

In genere, è documentata una perdita di circa il 3-4% della massa ossea da parte della madre durante l’allattamento, anche se tale perdita è corretta rapidamente nei mesi successivi allo svezzamento. Anche per questo motivo, le linee guida suggeriscono un aumento del fabbisogno di calcio per la madre, sia durante la gravidanza che durante l’allattamento.

C’è inoltre una revisione scientifica che ha concluso che la supplementazione di calcio in gravidanza riduce il rischio di pre-eclampsia e di altre patologie ipertensive tipiche del periodo gravidico.

VITAMINA D

Numerosi studi hanno documentato la presenza di livelli di vitamina D inferiori a 50 nmol/L nel 30-96% delle donne in gravidanza.

Esiste, in letteratura scientifica, una correlazione tra carenza di Vitamina D e insulino-resistenza; peraltro questa strada è ben studiata specialmente nel contesto di ricerca di interventi nutrizionali per migliorare la fertilità in donne affette da Sindrome dell’Ovaio Policistico. Alcuni studi riportano che la densità minerale ossea dello scheletro del feto è associata ad adeguati livelli di Vitamina D, ma è doveroso sottolineare i limiti di queste ricerche, soprattutto per il campione abbastanza esiguo su cui sono stati effettuati tali studi.

Il corpus di letteratura scientifica sugli effetti di una supplementazione di vitamina D in gravidanza è abbastanza ampio, e l’argomento è molto interessante, soprattutto in virtù delle recenti scoperte sulla moltitudine di funzioni che questa vitamina ha sul metabolismo umano, ma attualmente non ci sono studi abbastanza solidi che mostrano chiaramente differenze sulla salute materna e del feto dovuta ad eventuali differenze nei livelli di vitamina D.

E’ da tener presente che però, nel complesso, gli studi indicano che ci sono benefici nell’avere livelli di Vitamina D di almeno 50 nmol/L, e ciò implica che molte donne necessitano di un’integrazione, semplicemente per supplirne la carenza.

CONCLUSIONI

I requisiti nutrizionali durante la gravidanza e l’allattamento aumentano per ottimizzare sia l’adattamento materno al nuovo stato metabolico, che per garantire un adeguato sviluppo fetale. Vi sono peraltro prove in letteratura scientifica riguardo al fatto che migliorare la dieta materna non solo durante la gravidanza, ma anche prima del concepimento, riduce il rischio di problemi di salute sia per lei che per il feto.

Oltre alle evidenze su determinati fabbisogni relativi ai particolari nutrienti di cui abbiamo ampiamente parlato nell’articolo, si aggiungono poi le indicazioni dietetiche basate sul buon senso e sulle linee guida tradizionali per tutta la popolazione, ovvero, seguire diete bilanciate, ricche di frutta e verdura, di carboidrati di alta qualità ( alimenti integrali e legumi). Tra gli alimenti da ridurre o evitare ovviamente troviamo i cibi industriali ricchi di zuccheri aggiunti, la carne rossa e in particolare quella lavorata, e gli alimenti ricchi di acidi grassi saturi e/o trans.