Il peso e l’immagine corporea, ovvero come ci appare il nostro corpo, sono due fattori che tutti noi consideriamo nel momento in cui ci ci guardiamo allo specchio.
Pensiamo a quando si mette su qualche chilo dopo le feste o dopo una gravidanza. Non ci piacciamo e pensiamo subito al peso e ai chili in più.
Tuttavia è labile il confine tra un giudizio coerente tra peso e l’immagine riflessa allo specchio ed invece la dispercezione corporea.

La dispercezione corporea è una condizione in cui l’immagine del corpo allo specchio risulta alterata: si tende a vedersi in sovrappeso quando non lo si è, o a focalizzare l’attenzione su un preciso difetto fisico che alla lunga diventa ossessionante e intollerabile.

Questa dispercezione provoca un un malessere talmente forte che è impossibile non agire. E il primo pensiero, la prima cosa che viene in mente è : DEVO DIMAGRIRE.

L’associazione che solitamente fa chi soffre di dispercezione è che ad un peso più basso, con un corpo più magro, più snello, quel difetto sparirà o sarà meno accentuato e quindi, finalmente, si piacerà.

Questa alterazione è tipica di alcuni disturbi del comportamento alimentare, ma può insorgere anche indipendentemente da essi.

L’IMMAGINE CORPOREA

Vi è mai capitato di svegliarvi un giorno e vedervi benissimo in quei jeans, e invece il giorno dopo non vedervi bene con nulla, nemmeno con gli stessi jeans di ieri?
Eppure è passato pochissimo tempo, il peso non è cambiato.

Quello che è cambiato è il modo in cui vi state guardando.

L’immagine corporea, infatti, non è un dato oggettivo, ma è la somma di due componenti:

  • la prima è la componente topografica, una sorta di mappa del nostro corpo che ciascuno di noi si crea, con cui riusciamo a descrivere le nostre reali forme e proporzioni; in questa componente rientra il peso.
  • la seconda, la più difficile da gestire, è la componente emotiva: comprende i sentimenti relativi a parti del corpo e al corpo in generale.

La cosa interessante, che è poi il fulcro del discorso, è che le due variabili sono interdipendenti. Questi due modi di vivere il corpo non sono separati in compartimenti stagni ma si influenzano l’uno con l’altro, anche con un rapporto di causa-effetto.

Dispercezione in chi soffre di Disturbi Alimentari

Da anni si sa che tra gli effetti di una significativa restrizione alimentare e di un forte calo di peso, c’è anche un forte peggioramento del modo in cui viene visto il proprio corpo.

Per questo, il trattamento della dispercezione in chi ha Disturbi Alimentari, si tende a lavorare su un graduale aumento delle porzioni e della varietà alimentari, e in molti casi anche in un recupero del peso corporeo: solo così, quasi in modo paradossale, migliorerà esponenzialmente il modo in cui si percepisce il proprio corpo.

La restrizione calorica altera, peggiorandolo, il modo in cui ci si vede allo specchio. Questo di conseguenza non fa che rinforzare la credenza di dover restringere ulteriormente l’alimentazione per potersi vedere meglio.

Ecco, questo è un circolo vizioso bugiardo e fasullo, spezzatelo appena vedete uno spiraglio.

Dispercezione in chi non soffre di Disturbi Alimentari

Anche chi non ha un Disturbo Alimentare può vivere più o meno consapevolmente un rapporto conflittuale con le forme del corpo o con una parte di esso: tipicamente si percepisce del peso in eccesso o mal distribuito.

In una società in cui l’immagine è un elemento chiave del successo personale, sociale e professionale, preoccuparsi del proprio aspetto è diventato fondamentale ed allo stesso tempo difficile da ignorare. Senza ombra di dubbio il desiderio di piacere ed essere apprezzati non può essere biasimato né tantomeno considerato patologico, così come non lo è ricorrere a piccole o grandi correzioni estetiche per migliorare ulteriormente oppure per compensare difetti oggettivi del viso o del corpo in generale. Come in tutte le cose, però, anche nell’attenzione alla bellezza servono equilibrio e misura: due elementi a dir poco fondamentali per discriminare tra una positiva cura di sé e l’espressione di un disagio psicologico profondo che si esprime nella persistente insoddisfazione di come si appare.

Dispercezione negli sportivi

Nel 1997 Harrison Pope e altri suoi collaboratori descrissero un disturbo chiamato “dismorfismo muscolare”, indicandolo come un’eccessiva preoccupazione ed insoddisfazione per la propria grandezza corporea e muscolosità in cui il soggetto tende a vedere sé stesso come piccolo e fragile anche quando la realtà tutto all’opposto.

Per indicare tale disturbo viene utilizzato anche il termine “vigoressia” che indica una “fame di grossezza”, ovvero il desiderio da parte del soggetto di possedere un corpo più muscoloso e più “asciutto”.

La distorsione dell’immagine corporea che vi è alla base è sostanzialmente analoga a quella dell’anoressia, da qui infatti anche l’utilizzo del termine inglese “reverse anorexia” ovvero anoressia inversa, appunto per la sua correlazione, anche se al contrario, con l’anoressia nervosa; quando le persone che soffrono di anoressia nervosa si percepiscono grasse anche se in realtà sono molto magre, i soggetti che soffrono di dismorfismo corporeo si vedono insopportabilmente magri anche se in realtà possiedono una muscolatura regolare se non addirittura abbastanza consistente.

In questo caso, il punto centrale non consiste in una costante paura di ingrassare, ma il timore di non essere abbastanza grossi, e quindi ciò che affligge il soggetto non è tanto un eventuale sovrappeso, quanto la percentuale di grasso corporeo che chiaramente va sempre tenuta sotto controllo; di conseguenza l’allenamento diventa continuo senza nessuna interruzione, e il soggetto tende a non preoccuparsi dei dolori e i traumi che possono essere causati dall’eccessiva attività sportiva a cui il fisico è sottoposto.

COSA MANTIENE E SOSTIENE IL DISTURBO?

Con l’aiuto di un esempio pratico, proverò a spiegare come questo disturbo possa mantenersi a causa di fattori di tipo emotivo, cognitivo e comportamentale.

Immaginiamo una ragazza che vede la forma delle proprie gambe come difettosa, e consideri tale difetto come grave ed evidente. Se il disturbo è grave, il tempo speso a pensare al proprio difetto sarà molto ampio, ma difficilmente arriverà ad estendersi ad ogni ora del giorno, tutti i giorni. Più tipicamente, invece, le preoccupazioni e le emozioni collegate con il difetto immaginato vengono innescate da un evento; un possibile innesco, nel nostro esempio, è guardarsi allo specchio. Questo evento, per una persona con dispercezione corporea, non è neutrale, poiché innesca a sua volta tutta una serie di immagini e pensieri relativi al sé come “oggetto estetico”.

In altre parole, le persone con dismorfismo hanno determinate convinzioni relative alla propria immagine corporea dal punto di vista di un osservatore esterno, e cioè come se fossero nei panni di un’altra persona che li osserva.

Queste convinzioni sulla propria immagine vista dall’esterno favoriscono l’emissione di una valutazione negativa della parte del corpo percepita come difettosa (in questo caso, le cosce), che comporterà automaticamente l’aumento dell’attenzione che la persona pone sul proprio difetto immaginato e sui pensieri ed emozioni collegati al fatto di avere parti del corpo giudicate dagli altri e soprattutto da sé stesso come “difettose”.

L’aumento di tale attenzione provocherà, a sua volta, l’accrescimento, da un lato delle emozioni negative (rabbia, vergogna, depressione ecc.) e dall’altro,un giudizio negativo su di sé.

Per contrastare le emozioni e i pensieri collegati alla convinzione di avere un difetto fisico, in genere vengono messi in atto tutta una serie di comportamenti: l’evitamento ( non mostrare le proprie cosce evitando di indossare jeans aderenti o gonne ecc.), la ricerca di rassicurazioni (ovvero chiedere conferma agli altri di quanto le proprie cosce siano grosse) e i cosiddetti check (come ad esempio: toccarsi le gambe quando non si è allo specchio, per giudicarne la forma; oppure guardarsi le gambe allo specchio molte volte al giorno, ecc.…). Tali comportamenti producono un aumento dell’attenzione sulla caratteristica giudicata difettosa e dei giudizi negativi sulla propria immagine corporea.

Attraverso questo circolo vizioso, che può innescarsi e ripresentarsi anche decine di volte al giorno, il dismorfismo corporeo si mantiene e può aggravarsi nel tempo.

COSA FARE PER LA PERSONA CHE VEDI ALLO SPECCHIO?

Falle un regalo: lascia che qualcun altro di competente si occupi di un eventuale cambiamento tramite una corretta alimentazione.

Se quello che vedi riflesso in quello specchio non ti piace, l’unica cosa che puoi fare è quella di non buttarti a capofitto in soluzioni drastiche trovate online. Solo evitando le diete fai-da-te sarà possibile acquisire le strategie per un cambiamento efficace senza alcun danno per la salute.

Sia ben chiaro, la dieta non garantisce un dimagrimento localizzato o una ricomposizione localizzata. Nessun tipo di dieta è in grado di farlo.

Le nostre forme corporee e il posto in cui il grasso si accumula preferenzialmente sono determinate dalla genetica, e quindi immodificabili.

Per questo, qualsiasi sia l’obiettivo del vostro percorso dietetico, è fondamentale l’accettazione di determinate caratteristiche corporee: hai le cosce grosse? Accetta questa tua particolarità, il modo per renderle meno “grosse” esiste, ma devi prima accettare che si tratta di una tua conformazione fisica.

Ci si può però migliorare, partendo prima dalle abitudini alimentari e dallo stile di vita per arrivare solo dopo, come conseguenza, al cambiamento del peso corporeo; e non ci dimentichiamo dell’attività fisica, troppo spesso sottovalutata ma la chiave di volta per quei difetti fisici che ci fanno sentire a disagio.

Come vedete possiamo agire su tantissimi fronti. Ma nessuno cambierà radicalmente ciò che siamo. E’ tutto un gioco di equilibri in cui l’obiettivo è il compromesso.

L’obiettivo è coniugare la salute con un rapporto pacifico con il proprio corpo e lo specchio, perché non si può rinunciare a nessuna della due, per niente al mondo.