TUTTO SULL’INDICE GLICEMICO

TUTTO SULL’INDICE GLICEMICO

INDICE GLICEMICO IN AMBITO CLINICO

Ai tempi dell’Università, durante il tirocinio in ospedale, ci parlarono e ci venne anche insegnato un metodo super innovativo, rivolto ai pazienti con diabete di tipo 1, che consiste nel calcolare, seppur non precisamente (o per lo meno non in origine, quando non esistevano le app che esistono ora) la quantità di carboidrati assunti durante la giornata e la loro distribuzione. Questo metodo, denominato counting dei carboidrati, è stato un grandissimo passo avanti per i pazienti diabetici, ai quali in passato veniva prescritta un dieta molto rigida, basata esclusivamente sull’indice glicemico degli alimenti, nella quale la quantità di carboidrati e la loro distribuzione nella giornata erano fissi da un giorno all’altro, allo scopo di poter mantenere costanti le quantità di insulina.

Nel Diabete di Tipo 1, il trattamento standard è rappresentato dalla terapia con insulina secondo uno schema chiamato “basal bolus”, un modello che tenta di riprodurre l’andamento fisiologico della secrezione insulinica nelle persone non diabetiche e garantisce il fabbisogno insulinico basale con l’aggiunta di boli a ogni pasto per la metabolizzazione di quanto assunto con gli alimenti.

indice-glicemico

La dose corrispondente al bolo insulinico dipende da 4 fattori:

  • Sensibilità insulinica del soggetto
  • Glicemia pre-prandiale
  • Quantità di insulina residua in circolo proveniente da boli precedenti
  • Quantità di cibo assunta

Le prime tre variabili sono facilmente misurabili, ciò che resta da determinare è la quantità di cibo assunta.

Siccome il fabbisogno di insulina è legato in gran parte (MA NON SOLO) all’assunzione di carboidrati, stimando il contenuto glucidico degli alimenti consumati, si può calcolare la dose più o meno esatta di insulina da somministrare ad ogni pasto.

Ovviamente, è necessario che ai pazienti venga insegnato come calcolare il contenuto glucidico degli alimenti, ed in genere si assume che essi prendano in considerazione solamente i cibi che contengono più carboidrati (pane, pasta, frutta), mentre la quota glucidica presente in cibi considerati proteici come carne, pesce, prodotti caseari, vengono in genere trascurati.

Questo è proprio uno dei limiti principali di tale metodo: parlare di insulina e guardare solo alla glicemia è totalmente errato, perchè la secrezione insulinica non dipende soltanto da questo fattore.

Il counting dei carboidrati, nonostante sia stato inserito tra i quattro approcci migliori in caso di diabete, risente degli effetti sulla glicemia di un pasto misto, contenenti proteine e grassi.

Le proteine infatti sono in grado di stimolare la risposta insulinica e possono presentare effetti anche rilevanti sulla glicemia a distanza di 4-12 ore dal pasto.

I grassi e le fibre, invece, possono ulteriormente interferire con l’andamento glicemico post-prandiale, ritardando l’assorbimento dei carboidrati, riducendo di fatto la risposta glicemica; allo stesso modo, pasti ad alto contenuto lipidico sono in grado di indurre insulino-resistenza nelle 8-16 ore successive al pasto, per via del momentaneo eccesso di acidi grassi nel sangue.

INDICE GLICEMICO: DI COSA STIAMO PARLANDO

Nel counting dei carboidrati, viene preso in considerazione un parametro di cui tutti avrete sentito parlare almeno una volta: l’indice glicemico.

Che cos’è esattamente l’indice glicemico? Cosa misura? E’ da prendere in considerazione? E se sì, quando e quanto?

Per definizione, l’indice glicemico misura la risposta glicemica di un alimento contenente carboidrati confrontata con la risposta glicemica derivata dall’ingestione di 50 g di glucosio.

E’ un parametro utilizzato da diversi decenni in nutrizione e soprattutto in diabetologia per rendere più semplice la scelta di determinati alimenti; da anni, fino alla fine del Ventesimo secolo ( anche se, purtroppo, alcuni clinici continuano a ragionare in questi termini) il consiglio medico principale dato al soggetto diabetico era quello di limitare il consumo di zuccheri e carboidrati in genere; successivamente si è passati ad una maggiore tolleranza nei confronti dei carboidrati, pur facendo una netta distinzione tra zuccheri semplici e amidi.

Queste indicazioni derivano dall’ipotesi che gli zuccheri semplici, essendo digeriti più velocemente, avrebbero un impatto maggiore sulla glicemia rispetto ai carboidrati complessi.

Il primo studio a parlare di indice glicemico (IG) risale al 1981: in esso, i soggetti furono alimentati in diverse occasioni, in modalità differenti, con alimenti contenenti carboidrati diversi tra loro, in modo da apportare sempre un totale di 50 g di carboidrati; in seguito, vennero monitorate le variazioni della glicemia 2 ore dopo l’assunzione.

Questa risposta glicemica venne in seguito paragonata con quella derivante dall’ingestione di 50 g di glucosio, l’alimento di riferimento.

In base alle risposte medie dei soggetti, furono attribuiti ai cibi dei valori numerici, in cui 100 era il valore di riferimento attribuito al glucosio puro.

Da queste osservazioni, sono state elaborate strategie e diete basate sulla scelta dei cibi discriminandoli in funzione del loro IG, e in modo particolare, gli alimenti con alto IG sono stati considerati dannosi e fattori di rischio per l’obesità.

DOVE STA L’INGHIPPO?

Ora, quanti di voi, nella vita di tutti i giorni, si sveglia e beve 50g di glucosio? E chi di voi, quando mangia del pane bianco, lo mangia da solo o tende ad accompagnarlo con altri cibi, tipo un filo d’olio o una fetta di prosciutto?

L’IG degli alimenti, derivato da quello studio, venne stabilito a priori in laboratorio, e questo avviene misurando le risposte mefie dei soggetti a stomaco vuoto, a riposo e di prima mattina, dopo il digiuno notturno, assumendo l’alimento con determinate grammature nette di carboidrati (50 g).

Da queste premesse, possiamo buttare giù un paio di considerazioni:

  • Se un alimento viene assunto in abbinamento con altri cibi, il suo indice glicemico avrà poco valore, in quanto l’impatto dell’intero pasto sulla glicemia è diverso da quello del singolo alimento di cui abbiamo valutato l’IG.
  • Ammesso e non concesso che l’alimento venga assunto da solo, ad esempio 50 g di pasta, senza proteine, senza grassi, senza alcun condimento, dovrei pensare che, se in precedenza ho ingerito qualche altro cibo, questo andrà ad influenzare la mia risposta glicemica, poichè influisce sulla mia digestione e assorbimento dei nutrienti.
  • Se mangio un alimento quando sono sotto stress, sto lavorando, lo sto facendo di fretta o più lentamente, masticandolo più o meno bene e per più o meno tempo, la differenza in termini di risposta glicemica sarà rilevante.
  • Lo stesso alimento, mangiato cotto o crudo, scotto o al dente, così come un frutto più maturo o più acerbo, avrà un IG differente.

In poche parole, l’unico modo per riscontrare una risposta glicemica corrispondente al valore di IG di quell’alimento, è in teoria quello di consumarlo in maniera isolata, di prima mattina, a digiuno e a riposo, riproducendo in maniera impeccabile le condizioni da laboratorio, cosa che è quasi impossibile nella vita di tutti i giorni.

L’IG ha inoltre una grandissima vaiabilità individule: esso risulta infatti più elevato in soggetti con difetti nel metabolismo del glucosio ( diabetici o soggetti con sindrome metabolica).

Ed è proprio qui che volevo arrivare: considerare l’IG nei riguardi della risposta glicemica ha notevoli differenze in base al singolo soggetto e al suo stato di salute.

Un diabetico a cui viene insegnato il metodo del counting dei carboidrati, farà molta più attenzione all’IG perchè, in quel caso, questo ha una rilevanza sulla sua glicemia, con tutti i limiti del caso, ma ce l’ha.

Stiamo parlando di soggetti diabetici, che hanno come priorità quella di mantenere la glicemia stabile e controllata.

Un professionista che consiglia ad un soggetto in salute che vuole dimagrire di abolire le patate bollite perchè hanno un IG di 96 o di stare lontani dall’anguria perchè ha un IG di 72… è rimasto indietro di almeno 40 anni ed è quasi sicuramente un ciarlatano!

Dobbiamo inoltre comprendere l’influenza significativa che ha l’esercizio fisico sull’IG: soggetti ben allenati riscontrano per lo stesso cibo un indice glicemico molto più basso rispetto ai soggetti sedentari.

Se siete sportivi, se vi allenate con costanza, l’IG deve essere il vostro ultimo pensiero!

E se siete sedentari, se siete in salute e il vostro scopo è dimagrire, lasciate stare l’IG e iniziate ad allenarvi come si deve e a seguire un regime dietetico sano, equilibrato ed adatto a voi .. che soprattutto vi consenta di mangiare liberamente patate bollite ed anguria che no, non fanno ingrassare, se ancora ve lo stesse chiedendo!

Fonte: Project Diet, Daniele Esposito

Sudare, fa dimagrire?

Sudare, fa dimagrire?

“SUDARE FA DIMAGRIRE? DAVVERO SI PERDONO GRASSI SUDANDO?”

Questo è quello che ci piacerebbe accadesse quando iniziamo un percorso di dimagrimento.

Dai, tutti (compreso te che stai leggendo queste poche righe) almeno una volta nella vita abbiamo iniziato un percorso “AUTO-PRESCRITTO” che prevedeva: una bella corsetta giornaliera per sudare e dimagrire e la completa eliminazione di pasta e pane perché gonfiano e diventano grasso.

Effetto?? IL TOTALE FALLIMENTO!!!

O meglio, le prime due settimane circa ci si vede più magri, ci si sente più atletici, più selvaggi!!!

Ma poi iniziano a subentrare tutti quegli adattamenti metabolici e comportamentali che fanno si che si inizi ad avvertire stanchezza e soprattutto fame non controllata.

Sudare fa dimagrire di più? Ecco la risposta definitiva

Tralasciando volutamente la parte degli adattamenti metabolici, che comunque puoi trovare qui:

Vediamo perché la maggior parte delle persone crede ancora che sudore sia sinonimo dimagrimento e di perdita di grassi.

Alla base di tutto c’è di certo un bello strato di mancata informazione, condita da una dose di:”Mio cugggggino è dimagrito correndo ogni giorno usando la pellicola sulla pancia”, il mio BRO Persoanl Trainer mi ha detto di correre con la felpa sul tapis roulant così sudo di più. Il tutto poi è decorato dalla pubblicità ingannevole che mira proprio a questi soggetti, mostrando persone che indossando magici abbigliamenti diventano dei super modelli da copertina, spendendo solo 9,99 euro…. ma che davvero??!!…. nel 2020??

SUDARE FA DIMAGRIRE?

Ma davvero sudare fa dimagrire prima? E davvero perdiamo grassi sudando?

Credo che ormai sia chiaro, la risposta è NO!!

Ma andiamo con ordine e vediamo perché SUDARE NON FA DIMAGRIRE PRIMA.

Cos’è il sudore?

sudare per dimagrire, cos’è il sudore

Il sudore non è altro che un composto di acqua ed elettroliti (sali minerali). Esso viene prodotto nello strato sottocutaneo dalle ghiandole sudoripare le quali sono disposte in maniera strategica ed abbondante in alcune zone del corpo rispetto ad altre (esempio, quando ci si pezza sotto le ascelle…).

La funzione del sudore è quella di mantenere costante la temperatura corporea per far si che tutti i processi biologici e metabolici avvengano con efficacia.

Quando le condizioni climatiche esterne (alte temperature – sport) o interne (febbre) rischiano di portare ad un eccessivo surriscaldamento, e lì che intervengono le ghiandole sudoripare che tentano di riportare la temperatura allo standard.

Hai letto la parola grasso? NO VERO!? Se non ti fidate, cercate “sudore” su google, se trovi la parola “grasso” (su una fonte attendibile..) vinci un mese di Dieta e Programmazione gratuita.

Cerchiamo ora di capire da dove proviene l‘acqua espulsa dal nostro organismo attraverso il sudore.

Partiamo dal dire che il corpo ha 3 compartimenti liquidi ed ogni cellula contiene al proprio interno del liquido  intracellulare (LIC), ciò per garantirne il corretto funzionamento nei processi metabolici.

All’esterno delle cellule troviamo il liquido extracellulare (LEC), formato dal plasma (la componente liquida del sangue) e dal liquido interstiziale localizzato tra il sistema circolatorio e le cellule.

https://docplayer.it/10231713-Distribuzione-e-composizione-dei-liquidi-corporei.html

Il nostro organismo durante il fenomeno della sudorazione, attinge l’acqua dal liquido interstiziale, garantendo, dunque, l’importantissimo processo di termoregolazione necessario ad un’efficace funzionamento dei processi metabolici.

Un’altra argomentazione a favore della mancata perdita di grasso durante la sudorazione, sta nel fatto che l’adipocita ( la cellula costituente principale del tessuto adiposo) è completamente anidro (dal greco “privo d’acqua”), infatti contiene una bassissima percentuale <10% di acqua intracellulare, che, come abbiamo visto, il nostro organismo non utilizza nei processi di sudorazione.

CORRERE CON IL K-WAY fa dimagrire?

A questo punto, mi sembra ovvio che correre con il k-way, pellicole addominali o abbigliamento che favorisca la sudorazione oltre ad essere inutile ai fini del dimagrimento, può essere addirittura PERICOLOSO per l’organismo.

Come detto, il sudore ha la funzione di regolare l’omeostasi della temperatura corporea e per farlo ha la necessità di evaporare. Quando andiamo a coprire il nostro corpo con indumenti non traspiranti, come ad esempio il k-way e le pellicole addominali, impediamo l’evaporazione del sudore, causando un incremento della temperatura corporea che potrebbe portare ad un colpo di calore durante l’attività fisica.

Quindi, tali indumenti andrebbero addirittura BANDITI!!!

Ma mio cugggggino è dimagrito sudando!!!!

Il nostro caro cugino/BRO/amico, è dimagrito correndo semplicemente perché alla base di tutto aveva un’alimentazione corretta ed è passato da uno stato di completa inattività ad uno stato di attività. Quindi, alimentandosi correttamente, introduceva le giuste calorie che gli garantivano la giusta energia per poter fare attività fisica, la quale portava ad un maggiore consumo di kcal ed al conseguente dimagrimento.

In sostanza, vostro cugino è dimagrito perché mangiava meno (ma in modo corretto) e consumava di più!!! E non perché sudava!!!!

COSA FARE PER DIMAGRIRE

La risposta è: per dimagrire bisogna MANGIARE MENO E MUOVERSI DI PIU‘!!
Ovviamente per farlo, come in ogni cosa, bisogna affidarsi a degli esperti, non esistono formule miracolose uguale per tutti, siamo tutti diversi ed ognuno di noi ha le proprie necessità e di propri problemi.

Ottieni i Risultati che vuoi!

Iniziamo questo viaggio insieme, verso la tua consapevolezza alimentare.

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