BIOIMPEDENZIOMETRIA: UTILIZZO E VALIDITA’

BIOIMPEDENZIOMETRIA: UTILIZZO E VALIDITA’

La determinazione della composizione corporea è il presupposto essenziale per la programmazione dell’allenamento su base individuale e per impostare una dieta personalizzata. L’esame della composizione corporea è l’esame della struttura corporea e delle sue componenti. Essa ci permette di quantificare la componente muscolare, ossea e di grasso corporeo, il livello di idratazione (acqua totale), distribuzione di acqua intra ed extracellulare, minerali totali, massa metabolicamente attiva, metabolismo basale correlato alla massa cellulare. L’analisi della composizione corporea, in sostanza, permette di delineare il profilo fisiologico del soggetto. Nell’ambito dello sport e del fitness è fondamentale per elaborare un piano di allenamento e un piano alimentare personalizzati. Tra i metodi di valutazione ci sono la plicometria e la bioimpedenziometria.

VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

bioimpedenziometria

Per approfondire la conoscenza della composizione corporea è necessario avere ben chiaro che l’organismo può essere suddiviso in compartimenti.

Modello base

  • 2 compartimenti (massa grassa/massa magra – FM/FFM)

Modelli multicompartimentali

  • Elementare – 5 compartimenti (carbonio / idrogeno / ossigeno / azoto / altri elementi)
  • Molecolare – 5 compartimenti (acqua / grasso / proteine / minerali / glicogeno)
  • Cellulare – 5 compartimenti (massa cellulare / solidi extracellulare / acqua extracell. / grasso)
  • Funzionale – 4 compartimenti (muscolo scheletrico / tessuto adiposo / scheletroorgani viscerali e residui).


Nella valutazione della composizone corporea (quindi della massa grassa – FM) i livelli di validità sono 3:

  • I° livello – diretto: dissezione dei cadaveri ed estrazione del grasso con etere
  • II° livello – parzialmente diretto: misurazione di “alcune” quantità mediante densitometria (DEXA) e successiva relazione quantitativa per la stima della FM
  • III° livello – indiretto: rilevazione di una misura (come uno spessore o la resistenza elettrica) e derivazione di un’equazione regressa al II° livello (in realtà sarebbe meglio definirlo doppiamente indiretto).

La plicometria e la bioimpedenziometria sono metodi appartenenti al III° livello di validità e pertanto INDIRETTI; sono ALTAMENTE “campione specifici” in quanto la relazione tra adipe e densità dipende da molte variabili come: idratazione corporea, densità corporea, muscolarità, comprimibilità e spessore dell’adipe, distribuzione del grasso, quantità di grasso intraddominale.

COS’È LA BIOIMPEDENZIOMETRIA?

La bioimpedenziometria (o Body Impedance Analysis, BIA) è la tecnica più utilizzata per misurare la composizione corporea stabilendo la percentuale di massa magramassa grassa e un corretto stato di idratazione del corpo.

Sappiamo che il corpo umano è composto in media per il 65% di acqua e che i tessuti biologici possono comportarsi come conduttori elettrici o, al contrario, come isolanti a seconda della quantità d’acqua che contengono.
I tessuti magri, soprattutto i muscoli,  risultano essere ottimi conduttori, perché contengono una maggiore quantità d’acqua (STIMATA per il 73%) e di elettroliti, mentre i tessuti grassi e quelli ossei sono isolanti.

La bioimpedenziometria, sfruttando la capacità dell’acqua di condurre elettricità, quantifica la resistenza e la reattanza (o conducibilità) dei tessuti umani ad una leggera corrente elettrica e stabilisce così  la percentuale di idratazione, di massa magra e di massa grassa del corpo. La resistenza dipende dai fluidi corporei, la reattanza invece dipende dalla massa cellulare attiva (body cellular mass, BCM)

Se l’acqua totale corporea (TBW = total body water) è molta, la corrente fluisce attraverso il corpo con maggior facilità e minore resistenza. La resistenza è dunque inversamente proporzionale al contenuto idrico (più acqua = meno resistenza).

PRINCIPALI TIPOLOGIE

Il metodo di analisi bioimpedenziometrica più diffuso e routinario è quello della impedenza bioelettrica convenzionale, detta anche BIA convenzionale, che presenta alcuni significativi vantaggi legati alla non invasività, alla rapidità di esecuzione e al costo relativamente basso.
Tuttavia, la BIA convenzionale potrebbe rivelarsi poco adatta perché assume come costante la proporzione di acqua, proteine e minerali nella massa magra, proporzioni che in alcune fasce di età e in situazioni particolari cambiano frequentemente. Tale metodo si basa sull’assunto che la massa magra sia mediamente costituita dal 73% di acqua. Pertanto, una volta acquisita la stima dell’acqua totale corporea (TBW = total body water), analizzando il differente comportamento dei tessuti al passaggio dell’elettricità, si può facilmente ricavare per sottrazione la percentuale di massa grassa. Nell’esame bioimpedenziometrico classico un software trasforma i dati elettrici rilevati in un dato clinico sulla base di algoritmi che tengono conto anche dei valori di riferimento della popolazione e delle misure antropometriche del soggetto, della sua età e del suo sesso.

L’analisi bioelettrica vettoriale dell’impedenza (BIVA) è una metodologia di analisi impedenziometrica messa a punto nella seconda metà degli anni ’90, che utilizza modelli vettoriali e si basa sulle proprietà elettriche dei tessuti senza l’utilizzo di costanti, equazioni e peso corporeo. Queste sue caratteristiche, unitamente al costo contenuto e alla rapidità di esecuzione, rendono la BIVA la tipologia di analisi bioimpedenziometrica maggiormante utilizzata per tutti quei  pazienti che presentano alterazioni delle funzionali renali e/o cardiache, oppure che si trovano in condizioni di estrema malnutrizione,  nonché per i pazienti oncologici e neurolesi,  che potrebbero avere difficoltà ad interagire correttamente o a sopportare esami troppo lunghi. Il referto include una rappresentazione grafica (i vettori) dei valori di resistenza e reattanza corporea normalizzati per l’altezza (nomogramma biavector e nomogramma biagram). Ciò permette quindi una valutazione dello stato di idratazione e nutrizione del soggetto peso-indipendente e senza un calcolo matematico dei dati sulla base della resistenza/reattanza rilevate, quindi senza il postulato del fattore di idratazione costante. Risulta quindi più utile in ambito clinico e nutrizionale e può servire anche per una validazione dei dati del BIA convenzionale.

VALIDITA’ E FATTORI DI ERRORE

Il livello di errore “accettabile” per un’analisi della composizione corporea attraverso la bioimpedenziometria è < 3,5kg per gli uomini e < 2,5kg per le donne.
Il livello di accuratezza e precisione è influenzato soprattutto dalle variabilità intra-strumentali (taratura) e dalle variabilità inter-strumentali (diversi modelli).
Negli impedenziometri a monofrequenza può variare sensibilmente l’INTENSITA’ della corrente alternata (800:500 µA) anche con la stessa frequenza 50KHz, così come l’EQUAZIONE di PREDIZIONE (diversità dei software) e il tipo di CALIBRAZIONE (interna o esterna).
Gli impedenziometri a multifrequenza hanno prezzi certamente superiori di quelli a monofrequenza; utilizzano una tri-frequenza (5-50-100KHz) per misurare resistenza (R) e reattanza (Xc), ma trovano impiego soprattutto nella ricerca scientifica.


In definitiva, per ottenere misure utili alla valutazione della composizione corporea di un soggetto è necessario utilizzare SEMPRE lo stesso strumento e TARARLO SEMPRE prima dell’uso. Meglio utilizzare elettrodi con una superficie di 5cm2 e disporli in modalità a tutto corpo (distale/prossimale).

E’ opportuno specificare che esistono condizioni parafisiolofiche in grado di alterare la rilevazione della composizione corporea. La prima è lo stato di idratazione; è stato osservato che uno stato di digiuno solido e liquido da almeno 5 ore è in grado di modificare la rilevazione sul soggetto. Allo stesso modo, l’esercizio aerobico intenso può determinare una riduzione della resistenza (R) per squilibrio tra gli elettroliti corporei e l’acqua totale; un rapporto a favore degli elettroliti rispetto all’acqua determina una maggior conducibilità. Anche la temperatura corporea influisce significativamente sulla rilevazione con bioimpedenziometria; incrementandola si ha una riduzione della resistenza (R), pertanto, con piressia o ipertermia la bioimpedenziometria NON è attendibile. Infine, la cute sulla quale sono applicati gli elettrodi aumenta la sua conducibilità se pulita con alcol etilico.

Infine, errori di 1 cm nel posizionamento degli elettrodi nel corpo determinano una modifica della rilevazione pari al 2% del totale, così come la temperatura ambientale <14°C può compromettere la stima della massa magra fino a 2,2kg

Per ottenere dati attendibili e ripetibili, il soggetto dovrebbe:

  • ESSERE A DIGIUNO DA ALMENO 4 ORE
  • ESSERE ASTINENTE DALL’ESERCIZIO FISICO DA ALMENTO 12 ORE
  • AVERE LA VESCICA VUOTA
  • ESSERE ASTINENTE DA ALCOL DA ALMENTO 48 ORE
  • ESSERE ASTINENTE DA DIURETICI DA ALMENO 7 GIORNI

BIOIMPEDENZIOMETRIA vs PLICOMETRIA

La BIOIMPEDENZIOMETRIA è, come detto, una metodica incentrata sull’idratazione corporea. In base a questo dato, si ricavano informazioni circa la composizione corporea, e, per sottrazione, alla percentuale di massa grassa.

La PLICOMETRIA è invece una metodica incentrata sul grasso sottocutaneo. Viene rilevato lo spessore delle pliche cutanee in precisi punti del corpo mediante uno strumento, chiamato plicometro, da un operatore addestrato. Le pliche cutanee sono costituite da pelle e, per l’appunto, grasso sottocutaneo.
Tramite questi dati è possibile stimare la massa grassa corporea totale tramite diverse equazioni matematiche.

In entrambi i casi, quindi, MISURIAMO “qualcosa” grazie al quale STIMIAMO “qualcos’altro”, il quale ci consente, con delle assunzioni, di STIMARE la composizione corporea (finalmente).
Entrambe sono, per definizione, soggette ad errori.

Ma quindi qual’è più affidabile?
Per determinare quale delle due è più affidabile è necessario fare un confronto. Ma con cosa? La misura esatta della massa grassa la possiamo ottenere solo con l’autopsia. Meglio di no.
Nella letteratura scientifica il paragone viene spesso effettuato prendendo come riferimento i valori forniti da un’altra metodica più “potente”: la DEXA.
La DEXA è normalmente utilizzata per rilevare il grado di mineralizzazione ossea, ma fornisce informazioni interessanti anche per quanto riguarda la composizione corporea; con la DEXA il margine di errore è inferiore a quello di plicometria e bioimpedenziometria (vi sono meno assunzioni).
Non viene comunemente utilizzata per questo scopo perché è costosa, non portatile e leggermente invasiva (il corpo assorbe comunque una dose di raggi x).

Negli anni sono stati condotti diversi studi comparativi ma, a seconda della popolazione studiata e dei metodi utilizzati, ha prevalso la Plicometria o la Bioimpedenziometria.
Questo perchè è difficile standardizzare: nella Plicometria vi sono diverse equazioni predittive a nella Bioimpedenziometria varia proprio lo strumento utilizzato.
La scelta della metodica più appropriata varia da caso a caso: ad esempio la Plicometria è una modalità vincente nei bambini ma molto fallace nei grandi obesi.
Entrambe presentano vantaggi e svantaggi ma la grande discriminante è questa: nella Bioimpedenziometria è importante che sia buono lo strumento, nella Plicometria che sia buono l’operatore. Purtroppo sono rare entrambe.

MORALE DELLA FAVOLA

Le due metodiche sono diverse e non interscambiabili. Può essere utile effettuarle entrambe, ma i progressi devono sempre essere valutati considerandole come separate.
L’ideale sarebbe:
– esame Bioimpedenziometrico con una Bioimpedenziometria “seria” e verifica dei progressi utilizzando lo stesso strumento nella stessa condizione psicofisica
– esame Plicometrico effettuato da una persona qualificata e verifica dei progressi sempre con la stessa persona.

In ogni caso, ci tengo a specificare che un professionista che non utilizza il bioimpedeniometro non è un buono a nulla. Come abbiamo visto, questo ha più limiti che vantaggi, e il rischio nell’utilizzarlo è quello di perdersi dietro valori (nemmeno così attendibili) che potrebbero far perdere di vista la cosa più importante: i progressi del soggetto.

Da un’ananmesi precisa e puntigliosa, dal confronto di circonferenze e pliche e, soprattutto, dalle sensazioni del paziente allo specchio e tramite il vestiario, si riesce benissimo a capire se si sta andando nella direzione giusta o se sarebbe il caso di cambiare rotta.

Gli strumenti vanno saputi utilizzare. Eseguire un esame “che fa figo” in condizioni errate ( e viste le situazioni standard in cui dovrebbe essere svolto, non è raro che possa capitare) e con strumentazioni non idonee porterebbe solo a maggiore confusione.

#8 – BCAA, AMINOACIDI RAMIFICATI, IL BRO PUO’ VIVERNE SENZA?

#8 – BCAA, AMINOACIDI RAMIFICATI, IL BRO PUO’ VIVERNE SENZA?

Dopo aver sottoscritto l’abbonamento, la prima cosa che si acquista per sentirsi un vero BRO è sicuramente il barattolone di BCAA, che in base all’attività che ci siamo imposti di effettuare, avranno diverse composizioni, 2:1:1, 4:1:1 ecc.

Ogni BRO che si rispetti consiglia gli Aminoacidi Ramificati sostanzialmente per 2 ragioni:

  1. Crescita muscolare;
  2. favorire il recupero muscolare a seguito di un allenamento.

Ma davvero i BCAA devono far parte dell’integrazione di un vero BRO? Si può vivere anche senza?

Miei cari BRO, stavolta vi stupirò..

Stavolta non ce la caveremo un semplice “DIPENDE”, ma a fine articolo capiremo in maniera ben definita se tale “integratore” serve o meno.

Iniziamo come sempre con le definizioni..

BCAA – AMINOACIDI A CATENA RAMIFICATA

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Per semplicità, al solito, ho inserito la definizione presa da Wikipedia, in maniera tale da non scendere troppo nello specifico, rendendola reperibile a tutti, senza alcuno sforzo.

“Gli amminoacidi ramificati (conosciuti anche come amminoacidi a catena ramificata o BCAA dalla lingua inglese branched-chain amino acid) sono un gruppo di tre dei nove amminoacidi essenziali rappresentati da leucinaisoleucina e valina

Come specificato, questi i BCAA sono composti da tre aminoacidi essenziali: quali: leucina, isoleucina, valina e da soli compongono il 40% degli aminoacidi di un muscolo. La caratteristica di questi elemnti è quella di poter bypassare il passaggio attraverso il fegato venendo metabolizzati direttamente dalle fibre muscolari.

Ed è proprio questa caratteristica che crea dubbi sulla loro utilità o meno.

Ad oggi, non esiste persone che abbia frequentato almeno 2 giorni di palestra senza aver comprato ed ingerito nei modi più disparati gli Aminoacidi Ramificati, ma vediamo cosa dice la BROSCIENCE a riguardo.

Quantità e Timing secondo i BRO

La leggenda narra che la quantità di BCAA da ingerire debba essere pari al rapporto di 1g ogni 10 kg di peso corporeo. Quindi per un soggetto di 80kg la dose di questo potentissimo integratore sarà pari a 8 grammi.

Per quanto riguarda il timing, invece, sui migliori libri , troviamo scritto che devono essere presi assolutamente sia prima che dopo il workout, dividendo la dose. Facendo un esempio, il nostro soggetto di 80kg, dovrà assumerne 4g prima e 4g dopo il workout.

Tipologie di BCAA

Ormai, grazie alle case di integratori che speculano su questo integratore, è facile trovare diverse tipologie e composizioni di aminoacidi ramificati.

Una prima distinzione può essere quella tra BCAA in polvere e BCAA in pasticche. A livello qualitativo non c’è alcuna differenza, la scelta dipende dalla preferenza della persona. I più pignoli credono che la polvere sia migliore perché nelle pasticche ci sono altri elementi utili a tenerla compatta. Rischiando così di a pieno della magia di questo “integratore”.

La vera differenza nella composizione è quella data dal rapporto tra la Leucina e gli altri componenti, e quindi tra i vari 2:1:1, 4:1:1 e via discorrendo.

BCAA arricchiti di leucina (4:1:1, 8:1:1 ecc)

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Il rapporto 2:1:1 è lo standard , cioè la leucina è presente in quantità maggiore del doppio rispetto a isoleucina e valina. Secondo molti “BRO che hanno studiato” la Leucina è l’unico aminoacido importante tra i tre per promuovere la sovraregolazione delle vie anaboliche, e quindi la soluzione, (per vendere!!!) è stata quella di presentare sul mercato le cosiddette formule “arricchite di leucina” (“leucine enriched”). Tali proporzioni vanno dalla molto diffusa 4:1:1 alla 8:1:1, arrivando addirittura fino alle 20:1:1.

Purtroppo, però, i nostri cari BRO non hanno letto l’unico studio esistente sul confronto tra i normali BCAA e quelli più arricchiti di leucina (4:1:1).

The Effects of Leucine-Enriched Branched-Chain Amino Acid Supplementation on Recovery After High-Intensity Resistance Exercise.

Tale studio non ha osservato alcun beneficio a favore dei leucine enriched , ma, anzi, negli ultimi anni è stato proposto che isoleucina e valina potrebbero interferire con l’assorbimento intestinale di leucina.

Assumere Leucina Isolata

NOn ha alcun senso utilizzare questi aminoacidi per potenziare la Sintesi Proteica Muscolare, ha più senso usare la leucina isolata, sia per il costo minore rispetto alle sopravvalutate formule arricchite, sia perché si è dimostrata più efficace dei tre BCAA assieme per questi scopi.

EFFETTI “MIRACOLOSI” DEI BCAA SECONDO I BRO

Tra i vari effetti miracolosi degli Amino Acidi a Catena Ramificata, troviamo:

  • effetti anabolici sulla massa muscolare;
  • effetti anti-catabolici sulla massa muscolare;
  • riduzione dei tempi di recupero;
  • miglioramento della prestazione sportiva.

WOW!!! E Pensare che nostro Signore Gesù Cristo perdeva tempo a moltiplicare pane e pesci, quando invece avrebbe potuto semplicemente distribuire BCAA!!

Dov’é l’inghippo?

AMINO ACIDI E FISIOLOGIA DEL METABOLISMO

Se avete letto l’articolo (se non lo avete fatto, FATELO!!): “#5 – ACIDO LATTICO E DOLORI DEL GIORNO DOPO, COSA NE PENSA UN VERO BRO”, quando si è parlato della Fisiologia del metabolismo si è detto che il nostro organismo durante attività di tipo anaerobico utilizza a scopo energetico il glucosio, il quale può essere ricavato da:

  • glucosio proveniente direttamente dall’intestino;
  • glicogeno epatico;
  • piruvato, derivante dal lattato;
  • aminoacidi.

L’ordine però non è casuale, quella elencata è proprio una gerarchia!!!

Questo fa capire che è poco utile imbottirsi di Aminoacidi con lo scopo di aumentare le scorte energetiche del nostro Sistema, anche perché quest’ultimo utilizzerebbe quelli eventualmente rilasciati dal muscolo, quindi, prima di stoccarli, va da se, che le altre fonti devono essere davvero “a secco”.

In soldoni cosa ho appena detto?

SFATIAMO I MITI SUGLI AMINOACIDI RAMIFICATI

EFFETTI ANABOLICI DEI BCAA

Come detto, uno dei miracoli dei BCAA sarebbe quello di favorire la crescita muscolare, ma purtroppo miei cari BRO, cosiì non è!!!! Anzi, alcuni studi hanno dimostrato che i BCAA isolati sono molti più deboli nello stimolare la sintesi proteica muscolare (MPS) rispetto alle proteine con una pari quantità di BCAA. Anche perché, ricordiamolo, le proteine contengono già aminoacidi.

BCAA E CATABOLISMO MUSCOLARE

Al giorno d’oggi, grazie all’avvento di Internet e soprattutto dei Social chiunque ha la possibilità di parlare e di dichiararsi l’esperto di un qualsivoglia argomento, da qui molti BRO e molti Fitness Influencer che hanno contratti di vendita con produttori, più o meno famosi, di integratori, si riempiono la bocca di “evidenze scientifiche e studi” secondo i quali i BCAA riuscirebbero ad annullare il catabolismo muscolare anche in una condizione di ipocalorica.

Purtroppo non è così, l’unico modo per limitare il catabolismo muscolare è rispettare il fabbisogno proteico, del quale abbiamo già parlato nell’articolo:

“#4 – MASSIMA QUOTA PROTEICA? 30g BRO!!!”

Di fatti, la ragione per le quale i nostri BRO Influenzer vogliono venderci i BCAA come anticatabolizzanti, è perché in regime di ipocalorica vengono stoccati aminoacidi dal tessuto muscolare a scopo energetico, creando quindi CATABOLISMO, dunque, integrando con Aminoacidi a Catena Ramificata tale fenomeno dovrebbe sparire. Non ci sono ad ora studi che dimostrano questo effetto, anzi, tale posizione è tuttora messa in dubbio dalla scienza.

Ingerire cibo ha di per sé un effetto anti-catabolico

quindi anche se i BCAA agissero in tal senso, l’effetto verrebbe sopraffatto dal cibo ingerito
Cit. di Lorenzo Pansini
www.bodycompacademy.it

BCAA E RIDUZIONE DEI TEMPI DI RECUPERO

Effettivamente, tale effetto sembra essere stato riconosciuto, soprattutto nel recupero sui DOMS, ma guardando il contesto, tale riconoscimento è stato osservato in condizioni di apporto proteico ottimale per lo sportivo. Inoltre l’assunzione di BCAA a ridosso dell’allenamento viene paragonato a un placebo.

BCAA E MIGLIORAMENTO DELLE PERFORMANCE

Tale ipotesi verteva in origine sul ritardo che il Sistema Nervoso Centrale (SNC) impiegasse ad accusare la fatica. Ciò sarebbe possibile impedendo l’accesso del triptofano al cervello per sintetizzare serotonina, e quindi accusare affaticamento e i “miracolosi” BCAA avrebbero limitato o ritardato la fatica a livello centrale.

Purtroppo anche qui non esistono reali prove sperimentali a riguardo. Anzi, la fatica centrale risulta maggiormente influenzata dalla durata dell’esercizio anziché dall’ intensità di quest’ultimo, non a caso questi effetti dei BCAA vengono trattati nel contesto dell’endurance prolungata più che dell’allenamento con i pesi. Inoltre, come ci insegna la Fisiologia, in attività anaerobiche il carburante necessario è il glucosio e quindi, parlando di macronutrienti, una giusta dose di carboidrati garantirebbero un ottima performance.

BCAA ED INTEGRAZIONE

Se siete arrivati a questo punto dell’articolo, oltre ad essere dei “pazzi furiosi” vi starete chiedendo:

“Ma allora se i BCAA non vanno bene, con cosa posso integrare?”

Non c’è nulla di più semplice. Basta avere un corretto apporto proteico, il quale può essere raggiunto attraverso l’alimentazione e, per chi ne avesse davvero bisogno, mediante l’integrazione con proteine in polvere, le quali contengono già un dosaggio di BCAA oltre agli EAA (Amicoacidi Essenziali), che poi sono quelli che effettivamente vengono utilizzati dai nostri muscoli.

Infine, ma sicuramente non meno importante, non assumendo BCAA non avrete la necessità di acquistarli, risparmiando dei bei soldini (almeno 30 euro al mese), potendo utilizzare questi soldi per acquistare delle proteine in polvere o spenderli come meglio credete.

P.S. Se proprio non sapete come fare, nella sezione Contatti, possiamo trovare il modo.

Bella BRO!!!

Fonti:

  1. The Effects of Leucine-Enriched Branched-Chain Amino Acid Supplementation on Recovery After High-Intensity Resistance Exercise. – Per tipologia di BCAA
  2. Kerksick CM et al. ISSN exercise & sports nutrition review update: research & recommendations. J Int Soc Sports Nutr. 2018 Aug 1;15(1):38. – BCAA vs Proteine
  3. https://www.projectinvictus.it/aminoacidi-ramificati-bcaa/
LA MASSA MAGRA CI FA INGRASSARE!

LA MASSA MAGRA CI FA INGRASSARE!

Nel magico modo della composizione corporea, la massa magra e il grasso corporeo non sono rivali come si tende a pensare, ma, in un certo senso, si trovano ad essere compagni: entrambi influenzano la nostra composizione corporea e l’assunzione di energia.

Genericamente, si tende ad attribuire al grasso una funzione dominante del controllo dell’appetito: è quello che il modello del set point del grasso corporeo ci ha insegnato più di 50 anni fa. Tuttavia, da un’analisi dei pochi studi sull’uomo che hanno studiato le relazioni tra l’assunzione di cibo e la composizione corporea, è emerso che un aumento o una diminuzione della massa magra riveste un ruolo potenzialmente importante nel desiderio di mangiare.

In questo articolo vedremo quali sono i meccanismi di rilevamento dell’energia che guidano la fame e l’appetito relativamente alla massa magra, e cercheremo di capire i principali meccanismi con cui la dieta e la sedentarietà predispongono all’aumento del grasso corporeo.

GLI STUDI DICONO CHE..

Il primo rapporto sulle relazioni tra composizione corporea e assunzione di cibo “ad libitum”, ossia senza controllo, risale al 1989, quando venne scoperto che l’assunzione di energia per il mantenimento del peso corporeo non era correlata alla percentuale di grasso corporeo o alla massa grassa (FM), ma era invece associata alla massa magra (FFM). Questi risultati sono stati ignorati per almeno 2 decenni, fino al 2012, quando venne definitivamente appurato che la massa magra era positivamente associata alla dimensione del pasto e all’assunzione totale di energia in soggetti con sovrappeso e obesità.

Tra questi due rapporti, tuttavia, la pubblicazione di una nuova analisi del Minnesota Starvation Experiment vi consiglio di leggere, ha rivelato che la perdita di massa muscolare, indipendentemente dall’esaurimento della massa grassa, ha predetto il grado di iperfagia, ossia di alimentazione incontrollata, durante la fase di ri-alimentazione post dieta ipocalorica. I soggetti che avevano partecipato allo studio avevano quindi continuato a mangiare in maniera incontrollata anche dopo il recupero del peso perso.

Questo significa che, sebbene l’aumento della massa magra che accompagna il guadagno di grasso corporeo contribuisca ad un aumento del fabbisogno energetico man mano che l’obesità si sviluppa, anche un deficit della stessa massa magra è un fattore che guida l’assunzione di energia.

MASSA MAGRA E ASSUNZIONE DI ENERGIA

L’impatto dell’aumento della massa magra associato all’obesità sull’assunzione di energia è qualcosa di inatteso e controverso: è risaputo infatti che essa è una delle principali determinanti del dispendio energetico (circa il 70% del tasso metabolico a riposo).

E’ stato suggerito che la massa magra non ha alcun effetto diretto sull’assunzione di energia, ma influenza indirettamente la fame quotidiana, la dimensione del pasto e l’assunzione giornaliera di energia. Secondo alcuni ricercatori, tali fabbisogni energetici indotti dalla massa magra rappresentano una sorta di “aspirapolvere fisiologica” che guida l’assunzione di cibo in base alle richieste energetiche basali, e aiuta a garantire il mantenimento e l’esecuzione di processi biologici e comportamentali.

La ri-analisi dei dati dell’esperimento del Minnesota Experiment ha rivelato non solo che i deficit di massa magra e massa grassa prevedevano indipendentemente l’iperfagia post dieta ipocalorica, ma anche che nonostante il completo recupero di peso e grasso, l’iperfagia persisteva fino a quando la massa magra era completamente ripristinata ai livelli pre-dieta.

Tradotto in parole povere, l’aumento della fame dopo una consistente perdita di peso va oltre la spiegazione basata sulla teoria lipostatica e del modello classico del set point: la massa magra ha un impatto molto più forte sull’iperfagia, e finchè i suoi livelli resteranno bassi, gli adattamenti comportamentali alla perdita di peso continueranno a persistere e a spingere il soggetto a mangiare di più.

COLLATERAL FATTENING E RECUPERO DEL PESO

L’esistenza di un sistema di controllo in base al quale la perdita o il deficit di massa magra provoca un aumento dell’apporto energetico, con conseguente aumento della percentuale di grasso, denominato “collateral fattening”, ha diverse implicazioni per la ricerca nel settore dell’obesità.

Innanzitutto, aumenta la possibilità che, in seguito ad una dieta, la perdita di muscolo come fattore di recupero del peso può essere attribuita non solo al ridotto metabolismo a riposo, risultante da un minor costo energetico per il mantenimento di un tessuto magro inferiore, ma anche per l’impatto del suo deficit nell’aumentare il desiderio di mangiare.

In secondo luogo, l’esistenza di un circuito di feedback negativo tra massa magra e apporto energetico fornisce un concetto di estrema importanza: la dieta e il calo del peso rappresentano un rischio maggiore per il futuro aumento di peso in coloro che hanno un peso corporeo normale rispetto a quelli che presentano obesità.

La base di questa spiegazione sta nel fatto che la percentuale di perdita di peso come massa magra è maggiore nei soggetti magri rispetto a quelli obesi, e che un recupero più veloce di grasso rispetto a tessuto magro (cioè il grasso di recupero preferenziale) è una caratteristica di individui con peso normale che si stanno riprendendo da sostanziali perdite di peso e grasso a causa di un deficit energetico più moderato, nonché in pazienti che si stanno riprendendo da anoressia nervosa, carestia o cachessia.

Questa de-sincronizzazione temporale nel ripristino della massa grassa del corpo rispetto a quella magra provoca uno stato di iperfagia che persiste oltre il completo recupero del grasso, poiché continua a essere guidata dal deficit della massa muscolare. Tuttavia, poiché il completamento del recupero di quest’ultima è anche accompagnato dalla deposizione di grasso, se ne accumula in maniera maggiore: questo fenomeno appare quindi come prerequisito per consentire il completo recupero della massa magra e spiega perchè, dopo un programma dietetico non corretto, il recupero del peso sia addirittura maggiore di quello di partenza.

In terzo luogo, la relazione tra dieta e attività fisica, in questo contesto, si fa ancora più forte. Si potrebbe sostenere che, man mano che gli individui diventano sedentari e la funzione contrattile muscolare diminuisce, è probabile che il conseguente disuso muscolare porti a progressiva atrofia muscolare e perdita di massa magra. Tali deficit possono quindi innescare il circuito di feedback negativo tra massa magra e apporto energetico, attraverso un aumento compensativo dell’apporto di energia nel tentativo di ristabilire la massa muscolare scheletrica, accompagnato da un aumento del grasso corporeo.

LA SOLUZIONE C’E’!

Il titolo dell’articolo è ovviamente intriso di sarcasmo! Avere una buona massa muscolare non è mai una cosa negativa, e in questo contesto ancora di più!

Nel complesso, il fenomeno del Collateral Fattening è un ulteriore promemoria dell’importanza di promuovere sia le diete sane sia l’attività fisica come protezione contro la perdita di massa magra.

Deficit calorici non eccessivamente marcati, una buona quantità di proteine e attività fisica contro resistenza sono le 3 variabili che non dovrebbero mai mancare in un percorso di dimagrimento, pena l’eccessiva perdita di massa magra e tutte le conseguenze che questo comporta.

#7 – DIMAGRIRE LA PANCIA –    BRO, OGGI FACCIAMO GLI ESERCIZI MIRACOLOSI!!!

#7 – DIMAGRIRE LA PANCIA – BRO, OGGI FACCIAMO GLI ESERCIZI MIRACOLOSI!!!

Al giorno d’oggi, una delle ricerche più effettuate su Google è sicuramente la seguente:

“Esercizi per dimagrire la pancia”

Risultati immagini per come dimagrire la pancia esercizi

I risultati di questa ricerca portano a siti dove il BRO di turno prova a vendere protocolli di allenamento mirati ad avere il six pack in circa 2/3 settimane allenandosi solo 10 minuti al giorno. Altri risultati sono i link di video su YOUTUBE dove il tizio super definito di mostra la “routine definiva per degli addominali da urlo” e così via.

La tattica “vincente” del nostro BRO istruttore è la seguente:

  1. CARDIO COME SE NON CI FOSSE UN DOMANI
  2. SERIE DI ADDOMINALI INFINITE
  3. ESERCIZI DI TORSIONE DEL BUSTO

Del primo punto ne abbiamo abbondantemente parlato in altri articoli della sezione BROSCIENCE:

Per quanto riguarda i punti 2 e 3, proviamo ad analizzare se effettivamente ha senso ammazzarsi di addominali o eseguire esercizi mirati a dimagrire pacia e fianchi.

Iniziamo col dire che, purtroppo in questa battaglia contro la scienza del BRO, oltre ai vari PT “non aggiornati” o che hanno sentito dire o peggio “hanno sempre fatto così, perché funziona..” il lato oscuro della forza ha un alleato potentissimo, la Televisione e tutta la pubblicità in genere!!!

Basta accendere il televisore a qualsiasi ora per vedere markette di attrezzi miracolosi che con il solo pensiero di fare un esercizio, già riducono il grasso addominale del 10%…

Dai siamo sinceri con noi stessi.. SONO TUTTE CAZZATE che servono per far arricchire il truffatore di turno!!!

Vediamo ora il perché, effettivamente, il fare milioni di addominali, con o senza macchinari, non ci porterà ad un dimagrimento localizzato della pancia e dei fianchi.

Innanzitutto, bisogna partire dal presupposto che non è possibile selezionare localmente la parte del corpo che ci piacerebbe riducesse la percentuale di adipe. Questo semplicemente perché il tessuto adiposo viene utilizzato dal nostro corpo, qualora ce ne fosse necessità, a scopo energetico in toto.

La necessità dell’utilizzo del tessuto adiposo a scopo energetico/metabolico dipende dal tipo di attività effettuata, come già accennato brevemente nell’articolo: #5 – BRO, IERI MI SONO SPACCATO E ORA SONO PIENO DI ACIDO LATTICO!! , ma se non vi fidate di me (il che è plausibile) vi invito a perdere 5 minuti per effettuare la seguente ricerca: “fisiologia del metabolismo energetico” ma vi prometto di tornare spesso su questo argomento, in quanto, oltre ad essere molto affascinante, è alla base di tutto!!!

Cosa voglio dire con tutto ciò? NO, non voglio dire che allenare direttamente l’addome è sbagliato, anzi, ma di certo non serve a ridurre le circonferenze dei fianchi e a scolpire il six pack.

LA STRATEGIA VINCENTE PER DIMAGRIRE LA PANCIA

L’unica strategia utile per ridurre la circonferenza addominale è quella di diminuire l’introito calorico degli alimenti portando il bilancio energetico in deficit.

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Ovviamente per fare ciò c’è bisogno di una strategia ben definita che solo un professionista può personalizzare adattandola alle necessità del soggetto.

Le varie diete home made funzionano all’inizio e poi non funzionano più a causa di molti fattori, come gli adattamenti metabolici e comportamentali alla dieta, le varie fasi di stallo, un non corretto bilanciamento di macronutrienti e così via.

In un processo di dimagrimento bisogna sempre guardare al lungo periodo (dai 3 mesi in su in base ai kg da perdere), pensare di perdere la pancia facendo 1000 addominali al giorno e continuando a mangiare junk food è da folli e chi promette questo “miracolo” è solo un truffatore!!!

A proposito di TRUFFATORI, vediamo un po’ di “biomeccanica for dummies” per quanto concerne gli esercizi più frequentemente venduti come miracolosi

TORSIONE DEL BUSTO PER RIDURRE IL GIRO VITA

Risultati immagini per TORSIONE BUSTO ADDOMINALI

La torsione del busto è forse uno degli esercizi sempre presenti nelle schede fatte dai BRO. Tale esercizio viene effettuato o mantenendo un bilanciere sulla nuca o attraverso un attrezzo apposito sul quale è possibile oltretutto aggiungere del peso per aumentare la forza necessaria per la rotazione.

L’escursione di movimento maggiore avviene a livello del rachide toracico. Bisogna tener conto che il rachide lombare non è molto mobile in rotazione e effettuando tale movimento si va a dare vita a forze di taglio che vanno ad alzare il rischio articolare, soprattutto se si aggiunge molto nell’esecuzione da seduti.

Quindi, prendendo in considerazione i due fattori descritti in questo artico, e cioè:

  1. Non esiste il dimagrimento localizzato (vedi Fisiologia metabolismo)
  2. Rachide lombare scarsamente mobile in torsione (vedi Anatomia e Biomeccanica Esercizi)

possiamo affermare che tale esercizio, oltre ad essere “non utile” al dimagrimento della pancia e anche pericoloso per la schiena!!!!

PEDANA VIBRANTE PER IL DIMAGRIMENTO

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I venditori di PEDANE VIBRANTI assicurano che con solo 10 minuti di attività per 3 giorni a settimana si avranno i seguenti benefici:

  • Dimagrimento;
  • aumento della forza e della flessibilità muscolare;
  • aumento della densità ossea;
  • produzione di testosterone e ormone della crescita;
  • aumento del metabolismo;
  • riduzione della cellulite.

Praticamente, è come dire: “BRO, lascia stare quegli sfigati che si allenano 5 volte a settimana per un’ora, chi te lo fa fare!!! Vogliamo parlare degli atleti professionisti, vivono di allenamenti .. sfigati pure loro..”

Dai ragazzi, seriamente… Devo continuare? Se fossero così “miracolose” tutti smetterebbero di allenarsi, portando il proprio fisico al limite per poi giovarne in gara. Invece no, a noi piace mangiare da schifo, non allenarci a dovere, MA CREDERE CHE UNA PEDANA VIBRANTE CI MODELLI IL FISICO!!!

GRAZIE TELEVISIONE!!!

Comunque, per fortuna, non sono solo io a dire che questi aggeggi sono solamente delle truffe, ma ci sono degli studi scientifici che hanno provato che si, è vero che l’utilizzo di tale strumentazione abbia incidenza sul dimagrimento (ovviamente non localizzato), ma solo in caso di un regime alimentare, indovinate, IPOCALORICO!!!

QUANDO UTILIZZARE LA PEDANA VIBRANTE

Ci tengo a precisare che con questo articolo non voglio assolutamente demonizzare la pedana vibrante, anche se, onestamente, ho molto enfatizzato la sua “non utilità”, ma vorrei semplicemente che capiste il fatto che LA PEDANA VIBRANTE NON E’ LA SOLUZIONE ALLA PROBLEMATICA DELL’OBESITA’ o più semplicemente al DIMAGRIMENTO, ma può essere vista ed utilizzata quale ausilio, in determinati contesti, come ad esempio nei soggetti affetti da un grave stato di obesità, i quali hanno difficoltà motorie a causa del peso, allora, sempre in un regime di ipocalorica (ovviamente prescritto ad hoc da un professionista), potrebbero trarne beneficio per la circolazione del sangue e stimolazione muscolare;

SEGRETO PER DIMAGRIRE LA PANCIA

Siamo arrivati, finalmente, alla fine dell’articolo, dove vi svelerò il segreto per dimagrire la pancia ed assottigliare il girovita.

Tenetevi forte, perché sarà una soluzione innovativa, mai sentita prima, per la quale ho perso ORE!!!

Ma che dico ore, GIORNI!!!

Ma che dico giorni, ANNI!!!!

Si, ho perso anni di sonno, per definire questa strategia vincente per dimagrire.

Questa strategia non prevede l’uso di alimenti, non prevede l’effettuazione di esercizi particolare, anzi, non prevede alcun tipo di sforzo muscolare!!

Il segreto è:

“Tenere la bocca chiusa!!!!”

Tenendo la bocca chiusa, limiteremo l’introito calorico e non effettueremo sforzi muscolari, il risultato è garantito!!!

DAI, STAVO SCHERZANDO!!!

IL VERO SEGRETO PER DIMAGRIRE

A parte scherzi, l’unico modo davvero efficiente per perdere peso e dimagrire “bene” è quello di rivolgersi ad un professionista del settore che sia in grado di analizzare la situazione, contestualizzarla ed iniziare un percorso nel quale siano chiari i risultati da voler ottenere e soprattutto una strategia personalizzata!!

Questo è davvero IL SEGRETO PER DIMAGRIRE e dimagrire la pancia (che poi suona pure male..)

IL MITO DELL’INTEGRALE

IL MITO DELL’INTEGRALE

“Mangio la pasta integrale perchè da Barbara D’Urso hanno detto che fa dimagrire!”

È credenza comune che i cereali integrali siano la panacea di tutti i mali, mentre i raffinati vengono considerati il demonio in persona.

Appena abbiamo la parvenza che qualcosa sia “healthy”, ci buttiamo a capofitto in quella convinzione, riempiamo le nostre dispense di cibi integrali e light e ci sentiamo in pace con noi stessi. Negli anni, diversi studi hanno mostrato come le persone che iniziano a mangiare “sano”, col tempo tendono ad aumentare le dosi, in parte perchè i cibi meno grassi e che danno meno picchi insulinici, apportano meno sazietà, in parte perchè siamo meno restrittivi con noi stessi, tanto è salutare.

Sano = Fa dimagrire.

Mi dispiace, ma darvi una cattiva notizia: TUTTO QUESTO E’ UNA CAGATA PAZZESCA. Infatti:

  • non c’è una grande differenza nel contenuto di amidi totali.
  • l’apporto calorico è quasi lo stesso
  • non c’è differenza per quanto riguarda l’indice glicemico (per quanto conti questo parametro).
Risultati immagini per valori nutrizionali pasta integrale e pasta normale

Come possiamo vedere dall’immagine, non essendoci queste grandi differenze dal punto di vista delle fibre e dei macronutrienti, i cereali integrali sono solo leggermente meno calorici della stessa controparte raffinata, e questo significa che, soprattutto dal punto di vista della composizione corporea, sostituire i raffinati con l’integrale ha un bassissimo impatto.

Un piccolissimo vantaggio, derivante da un maggior contenuto di fibre, in realtà c’è: gli alimenti integrali infatti sono un po’ più sazianti dei loro cugini raffinati, e magari le persone si saziano assumendone una quantità leggermente minore.

Risultati immagini per pasta integrale fa dimagrire

Il punto è che potrebbe accadere che la convinzione di mangiare un “alimento buono”, un alimento sano, che fa bene, che è meno calorico, può anche portare la persona ad eccedere con le quantità, e questo è, chiaramente, controproducente.

“Tanto è integrale, posso mangiane di più!” Ed ecco che, a quel punto, la differenza tra raffinato ed integrale si azzera del tutto, insieme alle possibilità di perdere peso.

E’ una dura verità, me ne rendo conto, ma è un tranello psicologico in cui è facile cadere.

Ma allora il cibo integrale è da eliminare?

Assolutamente no!

I cereali integrali sono sicuramente più ricchi di micronutrienti, soprattutto vitamine del gruppo B, e, come detto in precedenza, essendo leggermente più ricchi di fibre, potrebbero avere un leggero potenziale saziante maggiore.

Il fatto che gli integrali apportino più micronutrienti dei raffinati ha però un basso impatto sul totale della dieta, in quanto questo apporto maggiorato è minimo e non rilevante, soprattutto considerando il fatto che i micronutrienti presenti nei cereali sono a bassa o bassissima biodisponibilità. Ciò significa che per avere una dieta equilibrata che soddisfi tutti i fabbisogni anche in minerali e vitamine, è bene basare la propria alimentazione non solo sui carboidrati (integrali o raffinati che siano) ma piuttosto su altri alimenti che possono avere un impatto sull’apporto vitaminico o minerale molto maggiore, e sto ovviamente parlando di alimenti vegetali come frutta e verdura ma anche, soprattutto per alcuni specifici nutrienti, di alimenti animali, come le uova, il pesce, i prodotti caseari e la carne.

Perché TUTTI raccomandano di consumare alimenti integrali?

Risultati immagini per carboidrati complessi

La motivazione è che negli studi epidemiologici, il consumo di cereali integrali è associato a miglior stato nutrizionale, miglior stato di salute e prevenzione e minor rischio di patologie croniche quali eventi cardiovascolari, diabete, sindrome metabolica e via dicendo. Dobbiamo però sempre tenere bene a mente che un’associazione non significa per forza relazione causa-effetto, cioè, non è detto da nessuna parte che sia il riso integrale, il basmati oppure il pane integrale a ridurre il rischio di diabete, a far dimagrire, a ridurre l’incidenza degli eventi cardiovascolari e via dicendo, ma piuttosto che le persone che, oltre a tutto il resto che mangiano (e che non è considerato in questi studi) e tutto il resto che fanno nella loro vita (che ancora non è considerato negli studi), mangiano carboidrati integrali sono più sani e in salute di chi non mangia carboidrati raffinati.

Detto questo, se i cereali integrali non hanno SPICCATI vantaggi rispetto ai raffinati, di certo non hanno degli svantaggi, per cui è giusto e condivisibile il raccomandare, comunque, preferenzialmente di consumare alimenti integrali. Semplicemente bisogna tener conto del fatto che se tale consiglio/intervento dietetico va a influire negativamente sulla compliance alla dieta, per un qualsiasi motivo, forse è meglio lasciar stare l’integrale e continuare con il raffinato, proprio con la consapevolezza che il raffinato non è il male assoluto e l’integrale non apporta alcun vantaggio così tanto rilevante.

Ci sono anche dei casi in cui è preferibile e raccomandabile assumere il raffinato piuttosto che l’integrale.

Tornando al maggior contenuto di fibre dei cerali integrali, questa fibra è rappresentata fondamentalmente dalla crusca, che in una certa quantità, su alcune persone in particolare, può creare un po’ di problemi intestinali (anche semplicemente gonfiore). Per cui per queste persone, e soprattutto per le persone che magari già hanno un contenuto altissimo di fibre da verdure, ortaggi e via dicendo, potrebbe essere utile non esagerare con l’integrale, in quanto se è vero che c’è un certo “fabbisogno” di fibre per stare in salute e per nutrire il microbiota, è anche vero che l’eccesso non ha mai dimostrato di far bene, anzi, sicuramente può creare malessere. Io, ad esempio, sono una di queste persone. Le quantità industriali di frutta e verdura bastano (e avanzano) per coprire il mio fabbisogno di fibra giornaliera, se mangiassi anche integrale, diventerei un palloncino!

Ancora, se i cereali integrali hanno un potere saziante un po’ maggiore, e questo in genere è un aspetto positivo perché le persone trovano molta più difficoltà a dimagrire mangiando “meno”, nei casi in cui i soggetti vogliono aumentare di peso o aumentare di massa muscolare e hanno un regolamento del comportamento alimentare con una sazietà ben responsiva, uno dei tanti trick può essere quello di sostituire, almeno in parte, i cereali integrali con quelli raffinati.

Linee guida generali per la scelta delle fonti di carboidrati

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  • Assumere principalmente fonti di carboidrati complessi.
  • Preferire la frutta e assumere tanta verdura, per il loro grande contributo in fibre alimentari, in potere saziante, in micronutrienti e sostanze fitochimiche varie che hanno in qualche modo dimostrato di essere associate a buona salute e prevenzione delle patologie.
  • Non consumare sempre e solo cereali (e solo un tipo di cereale) per raggiungere l’apporto glucidico giornaliero della dieta, ma avvalersi anche di altri alimenti che sono anche più ricchi dal punto di vista dei micronutrienti, come i legumi. Non dimentichiamo mai che ogni alimento ha un pro e un contro, per cui il metodo della varietà alimentare è quello più saggio da seguire e da raccomandare.
  • Preferire sì l’integrale al posto del raffinato, ma tenendo ben presente che le differenze sono spesso esigue, e che questa indicazione non deve essere esaltata eccessivamente come una norma importante per dimagrire o per rimanere in salute.