BILANCIA FOR DUMMIES: IL PESO DEL PESO

BILANCIA FOR DUMMIES: IL PESO DEL PESO

Al mondo, ci sono due tipi di persone. Quelle che si pesano ogni mattina e/o più volte in una giornata, e quelle che nemmeno hanno una bilancia in casa.

Fin da quando nasciamo, il nostro stato di salute viene letteralmente misurato dal numero che appare sulla bilancia; il nostro peso e la nostra altezza vengo messi in relazione per valutare se cresciamo bene o meno, e pare che, crescendo, quel numero sia destinato a influenzare il nostro comportamento a tavola e con il cibo.

Se il numero sale, è meglio darsi una calmata. Se il numero scende, forse dovremmo mangiare di più.

Ma che cosa rappresenta quel numero?

Una bilancia misura il nostro peso, ossia la forza che il campo gravitazionale terrestre esercita sulla nostra massa, ma non ci fornisce alcuna indicazione sulla nostra composizione corporea, sui materiali di cui siamo fatti. 

Il nostro corpo è costituito dagli organi interni, dal sistema nervoso, dai muscoli scheletrici, dal tessuto adiposo -quello che, volgarmente chiamiamo grasso- dallo scheletro, dal sangue e da acqua.

Le percentuali di ognuno di questi componenti possono variare anche di molto: i muscoli scheletrici in un soggetto medio possono andare dal 25 al 40% del peso corporeo, mentre il tessuto adiposo in un soggetto magro potrà essere intorno al 10%, ma in un soggetto fortemente obeso potrà arrivare fino al 50% del peso totale.

Il cervello può pesare fino a un chilo e mezzo, in genere un adulto ha circa 5 litri di sangue, poco più di 5 chili, e anche lo scheletro ha un suo peso, che oscilla tra i 10 e i 15 kg e rappresenta in genere circa il 15-20% del peso totale, a seconda di età e sesso del soggetto (e con questa informazione abbiamo messo fuori uso la storica scusa delle ossa grosse per un peso troppo elevato).

Anche il contenuto di acqua varia in base a età e sesso del soggetto e può essere influenzato da una miriade di fattori diversi. La somma dei pesi di questi diversi componenti ci dà il nostro peso totale, quello che leggiamo sulla bilancia, ma spesso questa informazione non è particolarmente utile, visto che non sappiamo nulla delle singole componenti.

PESO SULLA BILANCIA vs COMPOSIZIONE CORPOREA

Chi è attento alla propria forma o chi è a dieta spesso conferisce un’importanza enorme al valore del proprio peso corporeo: se i numeri calano euforia, festa grande e danze brasiliane, mentre quando i numeri salgono sconforto, tristezza e profonda saudade.

E chiaramente i media non aiutano, focalizzando l’attenzione sulla perdita di peso ad ogni costo, con la spettacolarizzazione e la diffusione di diete e metodi sempre più eccentrici, e potenzialmente problematici, il cui unico scopo è quello di far scendere il più rapidamente possibile quei numeretti sulla bilancia. Tuttavia quei numeri in caduta libera, quelle variazioni che la bilancia registra, cosa ci dicono realmente?

Facciamo un piccolo esempio: la signora Pina ha intrapreso una dieta super ferrea, con utilizzo di prodotti light, tanta attività aerobica -pardon cardio, perchè Pina è personcina alla moda, vero Bro?- e i supplementi giusti che gli ha consigliato l’amica che è tanto dimagrita. Dopo un mese la signora Pina registra una perdita di 6 chilogrammi, è in pace con il mondo, ama la bilancia e il suo prossimo, è felice.

La domanda tuttavia è: che cosa è che ha perso? Ossa? Direi improbabile. Organi? Anche questo difficile possa succedere. Grasso, acqua, muscoli? Non lo sappiamo, la nostra bilancia non può dircelo.

Per poter capire meglio cosa succede bisognerebbe valutare la composizione corporea della nostra signora Pina.

Al fine di valutare la composizione corporea, scienziati e ricercatori hanno sviluppato differenti modelli che cercano di raggruppare acqua, organi, tessuti, minerali in diverse componenti, che vanno da due nei modelli più semplici, a quattro o più nei modelli più complessi.

Dal punto di vista pratico, parlando del tipico soggetto a dieta o dell’atleta, il modello più semplice e di immediato utilizzo è il modello bicompartimentale, in cui il peso corporeo è dato dalla somma di massa grassa e massa magra.

  • La massa grassa è la somma di tutto il tessuto adiposo, del grasso viscerale ed essenziale, del pannicolo adiposo sottocutaneo etc, presente nel nostro organismo.
  • La massa magra è tutto ciò che non è grasso, muscoli, organi, sangue, minerali ed ossa. Più propriamente si dovrebbe parlare di massa priva di grasso -Fat Free Mass, FFM come spesso è indicata-  la cui stima presuppone una certa uniformità nel contenuto di acqua, dal 72 al 74%, e del contenuto di potassio, intorno a 2,3-2,5 kg/kg peso corporeo.

Tornando all’esempio della signora Pina e ai suoi 6 kg perduti in un mese -6kg in un mese, signora mia!- la bilancia darà sicuramente grandi soddisfazioni, ma un’analisi più accurata potrebbe cancellare il sorriso della nostra sfortunata signora.

Magari valutando la composizione corporea della nostra amica scopriamo che la massa grassa è diminuita di un solo kg , quindi gli altri 5 kg perduti sono da imputare a una riduzione della massa magra, situazione tutt’altro che ideale: una perdita di grasso modesta accompagnata da una perdita magari importante di acqua e muscolo, visto che il peso di organi, scheletro e sangue rimane relativamente costante.

La conclusione è che la dieta e lo stile di vita della nostra Pina sono completamente sbagliati: magari proteine e grassi insufficienti nella dieta, magari un esercizio eccessivo o sbagliato. La signora non sta dimagrendo, si sta sciupando -come avrebbe acutamente osservato mia nonna- e nonostante i numerini sulla bilancia le stiano dando ragione, in realtà sta facendo cose sbagliate che le provocheranno danni e problemi nel lungo periodo.

VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

La domanda che sorge spontanea è: si, tutto bellissimo, ma come si misurano massa grassa e massa magra? Come faccio a capire cosa rappresenta il numero che vedo su quella benedetta bilancia?

I metodi disponibili sono numerosi, alcuni relativamente semplici da utilizzare, altri più complessi, dipendenti dall’utilizzo di macchinari anche molto costosi.
Si va dai plicometri, dei semplici calibri per la misurazione del pannicolo adiposo sottocutaneo, all’impedenziometria, fino all’uso di strumenti come la DEXA, sorta di esame radiografico che permette una valutazione abbastanza accurata della composizione corporea, probabilmente il golden standard in questo tipo di applicazione.
Si tratta ovviamente di metodi che non sono facilmente accessibili in ambiente casalingo, anche se in commercio ci sono bilance con rilevatori impedenziometrici, le cui prestazioni lasciano tuttavia molto a desiderare.

I professionisti del mestiere (me compresa) sono stati formati nell’utilizzo di questi strumenti, e sapranno utilizzarli al meglio per aiutarvi in un corretto percorso di dimagrimento che comporti una perdita di grasso e non di preziosa massa magra. 

MA ALLORA LA BILANCIA E’ DA BUTTARE?

Assolutamente no. Registrare periodicamente il proprio peso è cosa buona e giusta e, a mio modo di vedere, è uno strumento importante per evitare una pericolosa deriva che può portare a consistenti aumenti di peso.

Nonostante si tratti di un numero, è comunque un valido strumento per tenere sotto controllo GLI ANDAMENTI del proprio peso corporeo. Se per tutta la mia vita ho pesato 50 kg, e ora la mia bilancia mi segna un peso di 80 kg.. forse è il caso di farsi due domandine e chiamare la vostra dietista di fiducia (PS. Trovate il modulo per contattarmi qui).

Tuttavia non è bene neppure essere ossessionati da un numero che di per sé non ci fornisce grandi informazioni. Se il numero aumenta cosa sta crescendo realmente? Il grasso? Il muscolo? Sto accumulando acqua? E se il numero cala è il grasso che se ne va, sto perdendo massa magra o mi sto disidratando?

Per rispondere a queste domande bisogna valutare la composizione corporea. Magari accanto al peso possiamo valutare qualche circonferenza, o magari possiamo ricorrere a strumenti più sofisticati.

Se non si disponesse di un plicometro o di un bioimpedenziometro, l’ausilio fondamentale da associare alla bilancia e alle rilevazioni delle circonferenze resta lo specchio. Anzi, lo specchio andrebbe utilizzato sempre, anche disponendo degli altri strumenti. Esso materializza la nostra volontà, riflette (è proprio il caso di dirlo) il nostro impegno. È il punto in cui realtà e immaginazione si scambiano vicendevolmente di posto.


Dobbiamo ricordare però che il peso sulla bilancia può variare drammaticamente se per qualche giorno non abbiamo evacuato, se abbiamo mangiato troppo saporito o abbiamo assunto farmaci che determinano ritenzione idrica.

L’ideale è utilizzare una bilancia affidabile, meglio quelle non digitali, disposta su superficie dura e piana, misurando il nostro peso al mattino, in biancheria o nudi, dopo aver evacuato. E soprattutto, sempre sulla stessa bilancia e sempre nelle stesse condizioni.

In questa maniera si eliminano molti dei fattori di disturbo che possono generare ansia o sconforto. E periodicamente sottoporsi a valutazione della composizione corporea che ci darà indicazioni decisamente più precise su quello che sta accadendo al nostro corpo.

Non possiamo lasciare che siano le variazioni di un numero su di uno strumento a condizionare la vita: dobbiamo capire cosa accade al nostro corpo, ricercando armonia e benessere, e non qualche arbitraria variazione numerica che poco ci dice delle nostra reale condizione fisica.

QUINDI, RICAPITOLANDO

  • SI’ alla bilancia come metodo di valutazione dell’ andamento del peso corporeo, consapevoli di tutti i limiti che presenta e ricordando che non sono le oscillazioni di 1-2 kg a doverci mandare al manicomio
  • NO alla bilancia come strumento di tortura psicologica. Non identificatevi con quel numero, perchè quel numero non dice nulla di voi e di come siete fatti.
ACIDO LATTICO E DOLORI DEL GIORNO DOPO: QUAL E’ LA CONNESSIONE?

ACIDO LATTICO E DOLORI DEL GIORNO DOPO: QUAL E’ LA CONNESSIONE?

ACIDO LATTICO, davvero è lui il responsabile dei dolori del giorno dopo?

NO, NON E’ L’ACIDO LATTICO

il colpevole non e’ l’acido lattico, ma allora di chi e’ la colpa?

Ancora nel 2024, è comune sentire persone lamentarsi dei dolori provocati dall’acido lattico nei due o tre giorni successivi all’allenamento.

Con l’articolo di oggi, cercheremo di definire e chiarire innanzitutto cos’è l’acido lattico e a cosa sono dovuti i dolori post-allenamento.

ACIDO LATTICO, COS’E’?

ACIDO LATTICO (in FISIOLOGIA) – Fonte Wikipedia:

” È un ossiacido il cui gruppo carbossilico può dissociarsi in soluzione e liberare un idrogenione (H+). Nell’ambiente endocellulare, a pH fisiologico, l’acido lattico è dissociato per oltre il 99% in due ioni: ione lattato (La-), carico negativamente, e ione idrogeno (H+), carico positivamente. Per questo motivo è più corretto parlare sempre di lattato e ioni idrogeno, piuttosto che di acido lattico. “

Chiaro? Per me NO!!!

Spieghiamo in modo chiaro le funzioni dell’acido lattico durante l’attività fisica.

Il Tessuto Muscolare necessita del Sangue per ottenere l’energia essenziale per le sue funzioni di contrazione e rilassamento. Durante l’esercizio Anaerobico, la fonte principale di energia è il “GLUCOSIO”, mentre nell’esercizio Aerobico sono gli “ACIDI GRASSI”. Questi ultimi, reagendo con l’Ossigeno (O2), producono l’ATP necessario per la contrazione muscolare.

Dieta a Isernia
Dietista e Nutrizionista Valentina Rossi

QUANDO SI FORMA L’ACIDO LATTICO?

La massima produzione di ATP (Adenosina Trifosfato) avviene attraverso vie metaboliche aerobiche come la glicolisi-ciclo dell’acido citrico. Se la cellula dispone di un’adeguata quantità di ossigeno, sia il glucosio sia gli acidi grassi possono essere metabolizzati per ottenere ATP attraverso la fosforazione ossidativa. Quando la richiesta di ossigeno supera la disponibilità, il metabolismo del glucosio segue la via anaerobica. E’ proprio in questo contesto di scarsità di ossigeno nella cellula, che il piruvato (che è il prodotto finale della glicolisi) viene convertito in ACIDO LATTICO ed entra nel ciclo dell’acido citrico. Ed è proprio qui che, mentre ci si allena si iniziano a sentire dolori localizzati al muscolo interessato con conseguente perdita di forza, tanto è vero che, in genere, uno sforzo anaerobico non può essere sostenuto per periodi lunghi. Una volta ultimato lo sforzo, il LATTATO in circolo, viene smaltito dal fegato in piruvato e successivamente, di nuovo, in glucosio che il sangue continuerà ad apportare al Tessuto muscolare.

Questa ESTREMA SEMPLIFICAZIONE è servita per far capire, in una decina di righe che la formazione di ACIDO LATTICO è del tutto momentanea e che quest’ultimo viene a formarsi sostanzialmente perché il nostro organismo è come se andasse in emergenza per la mancanza di ossigeno ed infatti, mentre si è intenti in sforzi del genere si tende ad aumentare il ritmo della respirazione, questo perché il nostro corpo richiede sempre più ossigeno, ma nel contempo espelle Anidrite Carbonica (CO2).

In genere, comunque, il nostro corpo riesce a smaltire la presenza di lattato all’interno dell’organismo nelle successive 2 ore a seguito dell’allenamento.

Compreso, dunque, che il “DOLORE DEL GIORNO DOPO” non è causato dall’ACIDO LATTICO, capiamo ora da cos’è dovuto.

VI PRESENTO I D.O.M.S. – Delayed Onset Muscle Soreness

D.O.M.S. – Dolori Muscolari ad Insorgenza Ritardata.

Svelato il mistero dell’ACIDO LATTICO, parliamo ora dei DOMS e cioè dei dolori muscolari ad insorgenza ritardata, i quali, a seguito di una seduta di allenamento molto intensa, a volte, ci accompagnano per i successivi 2-3 giorni. Ma perché ciò accade?

Per rispondere a questa domanda bisogna analizzare cosa, effettivamente causa i DOMS. Proviamo a pensare quando è stata l’ultima volta che abbiamo provato il dolore “gratificante” di questo fenomeno.

A me verrebbe da dire in uno o più di questi casi:

  • non ci alleniamo da almeno una settimana;
  • aumentiamo i carichi in maniera non graduale;
  • proviamo un nuovo allenamento.

Siete d’accordo? Credo di si!!

Bene, ora proviamo a generalizzare esplicitando questi casi e contestualizzandoli, dunque:

  • non ci alleniamo da almeno una settimana – STIMOLO INFREQUENTE
  • aumentiamo i carichi in maniera non graduale – INTESITA’ DI CARICO ELEVATA;
  • proviamo un nuovo allenamento – MOVIMENTO SCONOSCIUTO (sia dal nostro Sistema Nervoso Centrale e sia dal Sistema Muscolare).

D.O.M.S. E STIMOLO INFREQUENTE.

Un esempio di stimolo infrequente può essere il cambio di schema motorio, cioè se siamo seguendo degli allenamenti per la forza come i 5×5 e variamo con degli schemi 4×10 o 3×12, potremmo avere la comparsa dei DOMS a causa dell’aumento di volume dell’esercizio.

Ma allo stesso tempo, se non ci si allena per un determinato periodo di tempo, che può essere più o meno elevato in base alla preparazione atletica del soggetto, quando si andrà ad effettuare un nuovo allenamento (magari anche non molto pesante) è probabile che i DOMS si ripresenteranno, in quanto l’organismo si sarà “disadattato” ad un determinato schema motorio.

D.O.M.S. causati da INTESITA’ DA MANCATO ADATTAMENTO AL CARICO – INTENSITA’ ELEVATA

Oltre all’aumento di Volume (cioè il totale delle rep) anche uno spropositato aumento del carico non graduale potrebbe portare al verificarsi dei DOMS, in quanto, di nuovo, l’organismo è “disadattato” a tale sforzo, sebbene, in questo caso, conosce lo schema motorio molto bene, ma non è abituato a farlo con un determinato carico.

D.O.M.S. causati da MOVIMENTO SCONOSCIUTO

Questo è il caso più frequente.

Quante volte ci è capitato di provare una nuova disciplina e pur essendo molto allenati nella nostra specialità, il giorno dopo è come se ci fosse passato un treno sopra.
Questo accade perché effettuiamo dei movimenti “nuovi” sia dal punto di vista muscolare ma soprattutto dal punto di vista nervoso, e cioè il nostro Sistema Nervoso Centrale, in quanto vengono prodotti elettroliti (ioni calcio), radicali liberi, reflusso di enzimi, che vanno a sovraeccitare i nocicettori muscolari. I neuroni così aumentano i segnali dolorifici al cervello.

ECCO SVELATO L’ARCANO!!!

Riguardo i D.O.M.S. c’è però un’altra leggenda da palestra, cioè che questi dolori siano causati da microlesioni presenti sul muscolo a seguito dell’allenamento.

Per contestare tale teoria è sufficiente notare che tali dolori spariscono quando iniziamo ad allenarci. Infatti è vero che l’allenamento causa danni al muscolo, ma è anche vero che l’afflusso di sangue ai muscoli, proprio dell’allenamento, porterà via i cataboliti che sovraccaricano i nocicettori muscolari.

D.O.M.S. E CORRETTO ALLENAMENTO

Anche se il dolore è “gratificante”, i D.O.M.S. non sono affatto correlati a un buon allenamento o alla crescita muscolare!

Un soggetto/atleta cresce solo e soltanto se migliora i parametri allenanti, quali;

  • VOLUME;
  • INTENSITA’;
  • DENSITA’.

ma soprattutto li varia progressivamente, aumentando i carichi ed il volume, diminuendo la densità.

Su tale argomento consiglio la lettura degli articoli:

Slide presa da : https://www.projectinvictus.it/doms/

Fonti:

Ottieni i Risultati che vuoi!

Iniziamo questo viaggio insieme, verso la tua consapevolezza alimentare.

valentina.rossi91.dietista@gmail.com

+39 3913995856

#3 – PASTO PRE NANNA.  IL BRO vs  CATABOLISMO!!

#3 – PASTO PRE NANNA. IL BRO vs CATABOLISMO!!

IL PRE NANNA, E’ DAVVERO UN’ARMA LETALE CONTRO IL CATABOLISMO??

In questo nuovo articolo della sezione BROSCIENCE proveremo ad analizzare in maniera oggettiva e scientifica se questa abitudine è davvero utile, se non indispensabile per combattere quella che, nell’articolo :

abbiamo definito come “Nuova malattia del secolo” e cioè

“IL CATABOLISMO MUSCOLARE”

Ormai, la pratica del pasto PRE NANNA si è diffusa a macchia d’olio in tutte le palestre del mondo, nei vari centri Personal Trainer e nei Box CF.

Chi la consiglia sono i vari BRO, Personal Trainer, i Coach, ma anche e soprattutto “mio cuggggino che ha studiato e ha gli addominali!!”

MA PERCHE’ TUTTI PRESCRIVONO QUESTO BENEDETTO PRE-NANNA??

SEMPLICE…..

EVITARE IL CATABOLISMO MUSCOLARE

Ma questa pratica ha davvero senso?

Indovinate… DIPENDE!!!

Come ogni argomento in questo ambito, bisogna sempre contestualizzare ed è proprio questo motivo che tale materia è affascinante.

Mi spiego..

Il fatto che si abbia a che fare con persone e non con automi, rende ogni caso diverso, in quanto ognuno di noi ha una propria genetica, delle proprie abitudini dettate dal lavoro e dalla vita quotidiana in genere, ma soprattutto ha un proprio obiettivo.

E bene, tralasciando volontariamente l’argomento timing degli alimenti, già abbondantemente sviscerato nell’articolo:

quando si parla di PRE-NANNA bisogna parlare innanzitutto di obiettivi, in quanto proprio nella definizione di questi si incontra il primo bivio e cioè SI o NO?

Vi sorprenderà, ma stavolta non c’è nessun DIPENDE, perché se l’obiettivo dell’atleta/persona è quello di dimagrire il PRE-NANNA non è indispensabile, in quanto in tale contesto il soggetto sarà in deficit calorico e quindi l’effettuare tale pasto porterà, di certo, a dover limitarsi ulteriormente durante tutti gli altri pasti della giornata.

Se invece la persona ha come obiettivo quello di aumentare la propria massa muscolare, allora il PRE-NANNA, in questo caso potrebbe aiutare, ma non solo per il motivo che la maggior parte dei BRO esclama, e cioè:

“EVITARE IL CATABOLISMO”

che non è sbagliato, e sul quale torneremo, dandone una spiegazione pseudo-scientifica, ma i principali motivi per i quali la pratica del PRE NANNA potrebbe essere consigliata sono:

  1. Migliorare la qualità del sonno;
  2. completare l’apporto proteico giornaliero.

Il primo punto è di facile comprensione, il classico “dormire con la pancia piena”. Questo punto è importante perché una buona qualità del sonno porta ad un miglior recupero che porterà a sua volta ad allenarsi in maniera migliore.

Il secondo punto, invece, necessita di una breve, ma importantissima, spiegazione di quelle che sono:

  • La SINTESI PROTEICA MUSCOLARE;
  • il CATABOLISMO PROTEICO MUSCOLARE;
  • il BILANCIO PROTEICO MUSCOLARE.

SINTESI PROTEICA MUSCOLARE (MPS)

Come ormai chiaro a tutti, i nostri muscoli si nutrono di EAA (aminoacidi essenziali) i quali vengono garantiti dall’apporto di proteine (non è questo il contesto per parlare dell’origine animale o vegetale di questo macronutriente)

Parliamo di Sintesi Proteica Muscolare quando il nostro muscolo assorbe gli EAA per crescere (lo so, ho banalizzato, ma il senso è questo. ndr)

CATABOLISMO PROTEICO MUSCOLARE (MPB)

Parliamo di Catabolismo Proteico Muscolare, invece, quando i muscoli tendono a degradare le proteine facenti parte del tessuto muscolare.

BILANCIO PROTEICO MUSCOLARE (BAL)

Il Bilancio Proteico Muscolare è la differenza tra il MPS ed il MPB. Ed è proprio questo BAL che determinerà, nel tempo, la perdita o meno della massa muscolare.

Ci sono alcuni studio, come ad esempio:

  • (Kinsey 2015, Trommelen 2016)
  • (Res 2012)
  • (Snijders 2015)
  • e molti altri.

che indicano delle linee guida sull’assunzione e la distribuzione delle proteine.

Da tali studi si evince che:

  • la MPS sembra diminuire dopo 3-4 ore dal pasto, per cui, se con-sideriamo un apporto proteico totale di 1,6-2g/kg, la linea guida più semplice è di consumare 4-5 pasti ogni 3-4 ore, tutti comprendenti circa 0,4g/kg di proteine.
  • Non vi sono chiare evidenze, comunque, che una differente distribuzione proteica sia realmente sconsigliabile, anche perché dobbiamo sempre ricordare che “aumento/ottimizzazione MPS” non significa “aumento massa muscolare” in quanto conta il BAL, ovvero il bilancio proteico muscolare totale, nel tempo.

Detto questo, tornando al nostro punto 2, cioè “completare l’apporto proteico giornaliero”, la pratica del PRE-NANNA potrebbe venire in nostro aiuto in quanto, essendo in un regime di surplus energetico, quindi avendo un apporto calorico che si aggira dalle 2700 kcal alle 4000 kcal (in base al soggetto), ci aiuterebbe a distribuire i nutrienti (proteine in questo caso) in più pasti.

Come detto nella prima parte di questo articolo, altro fattore determinante nella decisione di consigliare o meno il pasto PRE-NANNA è di certo lo stile di vita del cliente e le sue abitudini.

Se per esempio il soggetto è abituato ad effettuare solamente tre pasti nell’arco della giornata, oppure è vincolato dagli orari lavorativi, di certo una strategia vincente è quella di adattare l’apporto proteico durante i suoi tre pasti, senza forzarlo ad introdurne un altro, a meno che il cliente non sia disposto a modificare le proprie abitudini.

Addirittura, possiamo avere un cliente/atleta abituato o obbligato per varie cause a mangiare solamente in alcuni orari della giornata, quindi che non avrebbe difficoltà a seguire un “Intermittent fasting” e che quindi potrebbe del pasto PRE NANNA per il semplice fatto che gli permetterebbe di arrivare alla quota proteica giornaliera, effettuando un ulteriore pasto nell’intervallo di tempo in cui gli è concesso/possibile.

Come vi sarete accorti, in questo articolo ho parlato spesso di “apporto proteico”, questo perché nella stragrande maggioranza dei casi, il PRE NANNA è un pasto prettamente proteico e consiste in uno shaker di whey o ISO protein.

Anche qui, duole dirlo, ma si è travisato il motivo per il quale tale pratica è nata e si è arrivati, negli anni, ad intende “PRE-NANNA = PROTEINE”.

Purtroppo tale errore è dovuto al fatto che la maggior parte delle persone che lo prescrive (mio cuggggggggino in primis), crede che serva “esclusivamente” ad evitare il famigerato CATABOLISMO MUSCOLARE, mentre ora noi sappiamo che non serve solo a questo, anzi ha altre ragioni più nobili, tra le quali abbiamo citato il: “completare il fabbisogno proteico”, ma in realtà, tale pasto potrebbe essere utile anche per colmare il gap glucidico o lipidico.

Quello che voglio dire è semplicemente che il pasto PRE-NANNA non deve essere necessariamente proteico, ma può essere anche composto da carboidrati o grassi. Ad esempio, potremmo mangiare delle noci, uno yogurt greco, un frutto o qualsiasi altra cosa possa garantirci di assumere tutti i macros previsti dal nostro piano alimentare.

Ultima perla, GIURO.

Vi siete chiesti perché i PRE-NANNA che i BRO vi prescrivono sono composti quasi sempre da non più di 30g di proteine?

Proverò a rispondere lunedì prossimo nel #4 articolo di questa rubrica.

(P.S. Non c’entra il diventare impotenti)

#2 – CARDIO?? NON BRO… ALTRIMENTI CATABOLIZZO!!!

#2 – CARDIO?? NON BRO… ALTRIMENTI CATABOLIZZO!!!

CARDIO IN FASE DI BULK, SI PUO’?

Ritornando alla fine dell’estate o se preferite, al ritorno dalle vacanze natalizie, oltre alle varie figure indicate nell’articolo:

Le palestre si riempiono di personaggi mitologici armati di:

  • cronometro
  • cintura in cuoio,
  • bottiglioni in plastica
  • canotta sudata
  • berretto da baseball al contrario,
  • ma soprattutto l’immancabile contenitore di “riso, pollo e broccoli”!!!

Questi personaggi si aggirano nella zona panche/manubri, ma non sono mai soli, sono sempre accompagnati dalla loro spalla, il famigerato “spotter”, senza il quale non riuscirebbero ad effettuare l’ultima rep che li porterà ad avere l’agognato incremento di massa degno di un vero BRO.

Devono nutrirsi ogni 5 ore, altrimenti il loro corpo inizia a “c-a-t-a-b-o-l-i-z-z-a-r-e” (scusate il termine forte) e questo non può e non deve accadere. Per evitare la malattia rara del “catabolismo” restano distanti da ogni forma di macchinario per il cardio.

Bene, mantenendo lo scopo di questa rubrica, proviamo a fare chiarezza su l’argomento del cardio in fase di massa (BULK).

Purtroppo, come in ogni ambito della nostra vita, non solo in palestra, gli eccessi portano sempre a conseguenze negative ed infatti, come il fare solo cardio non porta a risultati nel dimagrimento, anche il non farlo assolutamente potrebbe non portare ai risultati sperati.

Partiamo dalla definizione di attività aerobica.

L’attività aerobica è un’attività moderata di lunga durata (almeno per il L.I.S.S.), non richiede sforzi eccessivi e durante la sua pratica il corpo utilizza l’ossigeno per produrre energia (da qui appunto aerobico). Durante l’attività aerobica il cuore e la respirazione mantengono una frequenza più o meno costante. Esempi di attività appartenenti a questa categoria sono il nuoto, la corsa, il ciclismo.

Quindi, come si può ben capire, l’attività aerobica non ha effetto solamente sul dispendio calorico, ma anzi è consigliata per una serie di altri benefici che possiamo elencare:

  • Aumenta il volume del cuore
  • Aumenta la gittata cardiaca
  • Aumento dell’efficenza e dell’elasticità delle arterie
  • Miglioramento delle capacità respiratorie
  • Dimuzione del battito cardiaco a riposo
  • Diminuzione del colesterolo cattivo
  • Riduzione del rischio di cardiopatie
  • Riduzione della pressione cardiaca

Già solo questi effetti dovrebbero convincere chiunque ad inserire almeno una seduta cardio L.I.S.S. a settimana.

Altro motivo per inserire del cardio in fase di massa è di certo la possibilità, come anticipato, di incrementare il dispendio energetico, consentendo così all’atleta di appagarsi di più a tavola, potendo così mangiare diverse tipologie di pasto ed in quantità maggiori.

Siamo tutti d’accordo sul fatto che la fase di massa sia già un periodo di IPERCALORICA, ma allora perché dovremmo poter mangiare di più?

La risposta è molto semplice.

Sebbene quella del bulk sia una fase di ipercalorica, la dieta in questa fase prevede una forte percentuale di carboidrati (per una serie di motivi che non stiamo qui ad elencare, ma che tratteremo in un articolo ad hoc), ed i glucidi come sappiamo hanno un potere saziante molto scarso, ciò significa che la fame potrebbe farsi sentire prima.

Tale inconveniente, potrebbe essere risolto mangiando di più, ma per potercelo permettere, senza “sporcarci” ulteriormente, il cardio potrebbe venire in nostro aiuto, permettendoci di avere quel deficit energetico in più durante l’allenamento che poi potremmo recuperare a tavola!!

Ultima ragione, ma non meno importante, per la quale il cardio in fase massa potrebbe apportare benefici è che questa, in acuto, ha il potere di aumentare la sensibilità insulinica del muscolo. Cosa significa?

La fase di massa (bulk), come detto, è caratterizzata da un surplus calorico il quale potrebbe portare ad una insulino-resistenza con la conseguenza di non riuscire più ad inviare nutrienti all’interno del muscolo. Questo è uno dei motivi per i quali si consigliano dei mini-cut.

Attraverso un giusto inserimento dell’attività cardio all’interno della programmazione degli allenamenti, l’atleta potrebbe riuscire a gestire meglio sia la fase di bulk che di cut, in maniera tale da effettuarle quando programmato.

Spero che questo articolo vi abbia convito a fare una corsetta, un giro in bici, 30 minuti di corda o qualsiasi attività aerobica, durante la vostra fase di bulk.

AMENORREA IPOTALAMICA

AMENORREA IPOTALAMICA

LA RIGIDITA’ DELLA MENTE E IL BLOCCO DEL CORPO:

L’articolo di oggi si tinge completamente di rosa: parleremo infatti di ciclo mestruale e benessere psicofisico, e di come come questi due fattori si influenzano reciprocamente, determinando a volte meccanismi disfunzionali che si riflettono sulla capacità riproduttiva della donna e che prendono il nome di AMENORREA.

FISIOLOGIA DEL CICLO MESTRUALE

Il ciclo mestruale è un complesso meccanismo di ormoni secreti dalle ovaie, a loro volta stimolate dall’ipofisi e dall’ipotalamo (strutture del cervello), che prepara l’utero ad accogliere una eventuale gravidanza. La prima mestruazione avviene di media attorno i 12 anni, è chiamata menarca e indica l’inizio dell’età fertile.

Ogni mese l’ovaio stimolato dall’ormone FSH (follicostimolante) secreto dall’ipofisi, porta a maturazione un ovocita (fase follicolare) – mediamente dal 6° al 14° giorno – e libera progressivamente nel sangue grandi quantità di estrogeni (fase estrogenica o proliferativa), che provocano la ricostruzione dell’endometrio sfaldato dalla mestruazione (i primi 5-6 giorni del ciclo mestruale).

Il picco di estrogeni nel sangue viene rilevato dall’ipotalamo che, tramite un neurotrasmettitore, inibisce l’ipofisi alla produzione di FSH (feed-back negativo) e la stimola (feed-back positivo) alla brusca secrezione dell’ormone LH (luteinizzante).

Il rapido incremento nel sangue di LH (fino al picco dell’LH) provoca l’ovulazione e la liberazione dell’ovocita (fase ovulatoria). Inoltre l’LH stimola il residuo del follicolo a trasformarsi in un corpo giallastro e a secernere piccole quantità di estrogeni e una quantità sempre maggiore di progesterone (fase luteinica).

Il progesterone sostiene e stimola l’endometrio (mediamente dal 16° al 23° giorno) a raggiungere il suo massimo spessore e la sua completa maturazione per accogliere e nutrire l’eventuale cellula uovo fecondata (fase progestinica o secretoria).

E’ utile tenere presente che la mestruazione è il risultato finale di una serie di fenomeni che richiedono l’integrità anatomo-funzionale di varie componenti: l’area ipotalamo-ipofisaria, l’ovaio e l’utero. Alterazioni a livello di ciascuno di questi siti possono essere dunque causa di una interruzione del ciclo mestruale.

IN CHE MODO LA PSICHE PUO’ MODIFICARE GLI ORMONI?

I principali sistemi che regolano il benessere del nostro corpo – ma anche le risposte a eventi urgenti o stressanti – utilizzano un alfabeto comune.
In termini semplici, il sistema nervoso (da cui dipende l’attività psichica), il sistema ormonale (da cui dipendono, tra l’altro, i bioritmi che regolano il ciclo mestruale, ma anche la risposta allo stress) e il sistema immunitario (l’esercito che ci difende) usano un codice comune, un linguaggio che viene riconosciuto e compreso da tutti e tre.

In questo modo la nostra psiche può modificare, per esempio, sia la produzione di ormoni, sia l’efficacia delle nostre difese immunitarie. Nello specifico, può bloccare il ciclo, oppure causare mestruazioni emorragiche o ravvicinate: tutte le donne sanno per esperienza quanto la regolarità o meno delle mestruazioni sia anche uno specchio della serenità del loro cuore.

AMENORREA: CHE COS’E’

L’Amenorrea è una condizione in cui si può dire che il corpo perde una caratteristica propria dell’essere donna, ovvero la capacità riproduttiva.
Dal punto di vista diagnostico, l’amenorrea è caratterizzata dalla scomparsa del ciclo mestruale per almeno 6 mesi. Può essere classificata come primaria o secondaria a seconda della presenza/assenza del menarca. Circa la metà delle amenorree è di origine ipotalamico, cioè di origine non organica, quindi funzionale e reversibile.

L’amenorrea ipotalamica (AI) è una sindrome riconducibile a una scarsa produzione delle gonadotropine a livello ipotalamico, e rappresenta una risposta adattiva dell’organismo femminile allo stress.

Capire l’amenorrea significa prendere in considerazione non solo i fattori endocrini e ginecologici, ma anche psicologici, perché molto spesso è l’adozione di modalità disadattive in risposta a uno stress a portare a una condizione di amenorrea, al punto che l’amenorrea può essere definita come un fallimento del corpo femminile nella risposta allo stress (Nappi et al, 1995). Si verifica in questi casi uno squilibrio endocrino associato a uno sbilanciamento energetico, per cui è come se il corpo cominciasse a risparmiare su quelle funzioni non indispensabili alla sopravvivenza, tra cui appunto quella riproduttiva.

QUALI SONO LE CARATTERISTICHE ASSOCIATE ALL’AMENORREA IPOTALAMICA?

oltre a studiarne l’eziologia da un punto di vista fisico, si identificano, nei casi di amenorrea ipotalamica, delle caratteristiche tipiche: difficoltà a gestire le emozioni, rigidità nel funzionamento cognitivo e controllo alimentare/corporeo.
Fin qui sembrerebbe tutto molto simile al disturbo alimentare, quindi cosa c’è di diverso nell’amenorrea ipotalamica?


Qualcosa di diverso c’è. La prima cosa è che spesso sono pazienti ginecologiche e difficilmente si riconoscono in un disturbo alimentare.
La seconda cosa è che effettivamente non tutte le pazienti con DCA hanno l’amenorrea.
Le pazienti con amenorrea non sono consapevoli della loro scarsa flessibilità cognitiva e della difficoltà di gestione delle emozioni. Inoltre il loro controllo sul cibo e sul corpo viene visto come una “sana abitudine” e non come la manifestazione di una certa rigidità.


Lo studio delle caratteristiche delle pazienti amenorroiche negli ultimi vent’anni ha permesso di ampliare le possibilità di cura e di trovare strade alternative non necessariamente farmacologiche.
Così si è scoperto che alcune caratteristiche di personalità rendono più vulnerabili all’ amenorrea ipotalamica: perfezionismo, bisogno di controllo, senso di inadeguatezza e bisogno di riconoscimento. (Marcus et al, 2001).
Donne con una struttura di questo tipo sono chiaramente maggiormente vulnerabili agli eventi stressanti e tendono a reagire in modo disfunzionale.

Il controllo sembra essere una caratteristica peculiare ed è indice di una scarsa flessibilità che si esprime sia in termini comportamentali che emotivi. Anche gli studi neurobiologici confermano questo dato. Sono stati misurati i livelli del fattore neurotrofico cerebrale (BDNF), un mediatore di plasticità neurale che influenza l’apprendimento, la memoria e il funzionamento cognitivo (Genazzani et al, 2007), nelle donne in età fertile con amenorrea confrontate con donne in post menopausa, e si è notato come questo fattore sia correlato alla presenza di ormoni gonadici. Le donne in amenorrea presentano un deficit di questo fattore che si traduce a livello cognitivo in una scarsa flessibilità. Il fatto inoltre che l’amenorrea permanga anche dopo aver ripristinato un peso adeguato, conferma l’ipotesi che ci siano altri fattori che rinforzino e mantengano l’amenorrea aldilà di un disturbo alimentare. (Brambilla et al, 2003).

Inoltre, le donne con amenorrea ipotalamica hanno una scarsa spinta esplorativa e tendono all’evitamento. Possono avere comportamenti ossessivi e si accompagnano a disturbi dell’umore e sessuali. Il corpo delle amenorroiche è un corpo silente in cui si ha una staticità dell’organismo che va contro la normale ciclicità del corpo femminile in età fertile. Tanto la mente è rigida, tanto il corpo è bloccato.

PERCHE’ SUCCEDE?

Il nostro corpo è il miglior amico che abbiamo. E’ in contatto diretto e costante con la nostra psiche. Anzi, è il terreno attraverso cui si esprimono continuamente le nostre emozioni, positive e negative.

Il nostro corpo parla attraverso mille segni: basti pensare al rossore o al pallore, che svelano attraverso la pelle emozioni spesso segrete. Rivela piccoli moti del cuore, attraverso segnali minimi. Oppure può diventare il bersaglio di problemi più profondi, che non riusciamo ad affrontare bene a livello psicologico.


Il blocco mestruale da rottura di un fidanzamento, o da altra ferita affettiva, come la separazione dei genitori o la perdita di una nonna molta amata, rivela che il trauma emotivo dell’abbandono o del lutto ha superato, in un certo senso, la capacità tampone della psiche e si è espresso nel corpo, con il blocco temporaneo del ciclo.
Il blocco da dieta dice con chiarezza che la riduzione del cibo è stata eccessiva, per entità della deprivazione di principi nutritivi, per rapidità e drasticità, per livello del sottopeso.


Nella maggior parte dei casi, il blocco ipotalamico si risolverà non appena la giovane donna avrà attraversato e risolto il dolore, la depressione e lo stress che l’abbandono o il lutto le hanno causato. O ripreso un’alimentazione più equilibrata, con il giusto apporto di sostanze nutritive (tra cui il ferro, le vitamine del gruppo B e la C) e un peso adeguato alla sua altezza.

COSA SI PUO’ FARE?

L’amenorrea ipotalamica nasce quasi sempre da stress psicofisico, in particolare riferito a diete restrittive (talvolta alternate con periodi di abbuffate e binge) e/o sport eccessivo. Queste due variabili portano inevitabilmente ad avere carenze di micro e macronutrienti, che mettono in allerta un sistema endocrino già piegato dallo stress. Le carenze più frequenti da trovare sono quelle di vitamina D, vitamina B12, zinco, ferro (nello specifico ferritina bassa). 

Per quanto riguarda l’alimentazione in sé e per sé, non è particolarmente difficile da strutturare: la dieta deve essere studiata per permettere alla paziente di raggiungere il fabbisogno calorico e di macronutrienti, né più né meno.
Facile a dirsi, ma non a farsi. Vediamo nello specifico di quali fabbisogni stiamo parlando.

FABBISOGNO CALORICO

E’ fondamentale che la dieta sia normocalorica: la paziente in amenorrea ipotalamica non deve dimagrire, neppure qualora ci fossero effettivamente alcuni chili da perdere (diverso è il discorso dell’amenorrea derivata da PCOS). Ogni fluttuazione al ribasso del grasso corporeo è un allarme per il sistema endocrino, che rallenta la produzione ormonale e ferma gli ormoni sessuali: il dimagrimento deve essere secondario alla ripresa del buon funzionamento di ipotalamo e ovaie, ovvero si prenderà in considerazione solo quando il ciclo tornerà ad essere presente.
Sottolineo che la perdita di peso dovrà essere intrapresa solo qualora sia necessaria: se la paziente è normopeso sarebbe sciocco farle perdere peso per assecondare un suo desiderio estetico, poiché questo la porrebbe di nuovo a rischio di amenorrea; qualora ci siano insoddisfazioni legate all’immagine corporea, si deve intervenire in altro modo e con altri protocolli dietoterapici, non con il dimagrimento.

Molto spesso la paziente con amenorrea ipotalamica associata a DCA o cattivo rapporto con il cibo ha un’alimentazione fin troppo restrittiva, rigidamente controllata nella varietà di cibo e/o nel conteggio calorico. Se la paziente è sottopeso, la dieta deve pian piano diventare normo-ipercalorica per garantire il raggiungimento del peso corporeo ideale e il conseguente buon funzionamento ormonale. Se la paziente è normopeso ma stesse seguendo una dieta ipocalorica (1300-1400 kcal) è bene aumentare gradualmente il contributo di calorie, fino a portarla ad una dieta normocalorica che assecondi un metabolismo più attivo.

PROTEINE

Le proteine sono di importanza fondamentale per l’amenorrea ipotalamica: il contributo proteico deve essere leggermente superiore al classico 1 g/kg che viene consigliato per un fabbisogno “normale”. Le proteine diventano un importante stimolo sia per la produzione di ormoni ipotalamici e ipofisari, sia per il corretto funzionamento ovarico.
Non sempre è facile riuscire a far accettare alla paziente indicazioni alimentari che prevedano un consumo di prodotti animali quasi sicuramente superiore a quella che è stata l’abitudine sino a quel momento: in parte per via delle informazioni sbagliate e parziali che circolano in merito al consumo di proteine, in parte perché frequentemente carne, pesce e uova rimangono alimenti-tabù, di cui si ha paura. Ecco che quindi è necessaria l’assistenza di un professionista capace di trasmettere il messaggio corretto circa il consumo di questi alimenti, di insegnarne l’importanza terapeutica e di dare suggerimenti riguardo gli acquisti e i metodi di cottura.

GRASSI

I grassi sono forse anche più importanti delle proteine per superare un’amenorrea ipotalamica. Oltre a nutrire i neuroni e favorire gli scambi cellulari, dai grassi vengono prodotti ormoni e cofattori indispensabili all’equilibrio endocrino. Il nostro sistema ormonale risente della carenza di grassi già nel giro di poche settimane: non è infrequente che una donna abbia ritardi nel ciclo già dopo un mese di dieta ipolipidica. Più a lungo si protrae la carenza, più sarà difficile che il ritorno ad un’alimentazione equilibrata e normolipidica garantisca una risoluzione definitiva.
I grassi da prediligere sono quelli monoinsaturi (olio extravergine d’oliva).
I grassi polinsaturi dovrebbero essere presenti in piccole quantità quotidiane, con predilezione di quelli della serie omega3: pesce mediterraneo, alghe, olio di semi di lino. In misura minoritaria si dovrebbe introdurre anche frutta secca non trattata, ricca di omega6: noci, nocciole, mandorle, semini di zucca o girasole o sesamo. Va ricordato che omega3 e omega6 sono in competizione: l’eccesso dell’una o dell’altra serie determina effetti avversi sull’organismo.
I grassi saturi non dovrebbero mai mancare nell’alimentazione di chi soffre di amenorrea ipotalamica, poiché è da essi che si ha il maggiore stimolo alla produzione ormonale: ovviamente si devono scegliere fonti naturali di grassi saturi, a causa delle differenti forme chimiche presenti. I grassi saturi utili all’equilibrio endocrino sono quelli a media catena, presenti nel tuorlo di uova allevate all’aperto, carne di animali allevati al pascolo, burro di montagna o ghee, olio di cocco estratto a freddo. Invece, grassi saturi a lunga catena come il palmitico e il miristico, potenzialmente dannosi, sono contenuti in olio di palma, olio di colza, formaggi industriali, animali allevati intensivamente.

CARBOIDRATI

Diete troppo povere di carboidrati, quando vengono protratte a lungo nel tempo, determinano una condizione di ipotiroidismo che, quando trascurata, può diventare cronica. Una tiroide che lavora poco determina a cascata l’ipofunzionamento di altre ghiandole endocrine, tra cui ipotalamo e gonadi. Se l’ipofunzione tiroidea è stata causata dalla restrizione di carboidrati è sufficiente aumentare la loro quota per ristabilire un metabolismo attivo.

Non è assolutamente necessario, e anzi in certi casi risulta essere controproducente, mangiare cereali solo ed esclusivamente se integrali: l’amenorrea si accompagna quasi sempre anche a carenze minerali e vitaminiche, che potrebbero essere significativamente peggiorate da un eccessivo apporto di fibra vegetale. E’ invece possibile ruotare i diversi tipi di cereali durante la settimana: ad esempio alternare farro integrale e perlato, orzo decorticato e perlato, riso basmati, semintegrale, rosso o nero.

… FERMATEVI!

Leggendo quanto ho scritto finora, sembrerebbe essere molto semplice realizzare una dieta per una ragazza che soffra di amenorrea ipotalamica: si danno sufficienti calorie, si fa una corretta ripartizione dei macronutrienti, si controlla che non ci siano carenze minerali o di vitamine (sopperendo con eventuale integrazione adeguata).  E il gioco è fatto.

TUTTO QUI? NON PROPRIO.

Se soffrite di amenorrea ipotalamica, cicli anovulatori non dipendenti da PCOS (Sindrome dell’Ovaio Policistico) o iperandrogenismo, se il vostro ciclo è irregolare e ammettete che ci sia una forte componente stressogena, fermatevi.
Fermatevi e fatevi aiutare, lavorate sul modo in cui affrontate i pensieri disfunzionali, evitate fattori di stress aggiuntivi ad una già stressante quotidianità lavorativa, cercate un aiuto per allontanare i pensieri ossessivi; cercate un sostegno psicologico in primis, e chiedete aiuto anche per far sì che la vostra alimentazione sia adeguata al problema ormonale.